Si annuncia un’ondata di sanzioni americane contro Tehran nei prossimi 70 giorni, per schiantare l’Iran e per impedire che torni in vita il Jcpoa, l’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano del 2015 silurato dall’Amministrazione Trump. Era stata decisa prima delle presidenziali americane del 3 novembre e si è fatta più urgente dopo la vittoria del democratico Joe Biden che, stando alle anticipazioni fatte da un suo consigliere, Amos Hochstein, intenderebbe recuperare il Jcpoa persuadendo gli iraniani a fare concessioni. Con questo obiettivo il 18 novembre il segretario di Stato Mike Pompeo giungerà a Gerusalemme per poi proseguire verso Emirati e Arabia saudita, monarchie del Golfo che hanno sostituito Egitto e Giordania nel ruolo di principali alleati arabi degli Usa e di Israele. Non è solo il colpo di coda in Medio oriente di Donald Trump che a gennaio dovrà lasciare la Casa Bianca. È più di tutto un piano elaborato da tempo per impedire che lo scontro in Medio oriente sia risolto sulla base del dialogo tra le parti in conflitto.

 

In queste ore la missione di Pompeo viene preparata nei minimi dettagli da Elliott Abrams, rappresentante speciale di Trump per l’Iran e il Venezuela e uno dei falchi più noti della politica estera americana. Due giorni fa Abrams è stato ricevuto dal premier Benyamin Netanyahu e dal consigliere per la sicurezza nazionale Meir Ben Shabbat ed ha avuto colloqui con il ministro della difesa Benny Gantz e col ministro degli esteri Gaby Ashkenazi. Pompeo anticipavano ieri i media israeliani, metterà a punto con Netanyahu e gli alleati arabi una lista di obiettivi iraniani da colpire con nuove restrizioni, più pesanti di quelle introdotte negli ultimi anni e che stanno strangolando economicamente Tehran e milioni di iraniani. Non saranno collegate al programma nucleare ma prenderanno di mira tutte le relazioni dell’Iran nella regione con la motivazione di colpire «il terrorismo» e difendere i «diritti umani».

 

Tehran non ha reagito alle indiscrezioni. Però con un tweet il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif ha lanciato un ammonimento e, allo stesso tempo, un segnale di distensione ai suoi vicini arabi. «Tra 70 giorni Trump se ne sarà andato ma noi resteremo per sempre», ha scritto Zarif. «Scommettere sugli estranei (Usa e Israele, ndr) – ha aggiunto – per garantire la sicurezza non è mai una buona puntata. Porgiamo la mano ai nostri vicini per avviare un dialogo per risolvere le differenze. Solo insieme possiamo costruire un futuro migliore per tutti». Tehran resta cauta e, per il momento, non lancia al presidente Usa eletto segnali troppo concilianti. «Osserveremo certamente da vicino le azioni e le parole della prossima Amministrazione degli Stati Uniti» ha spiegato il portavoce del ministero degli esteri Saeed Khatibzadeh chiarendo subito a Biden che non ci sarà spazio per rinegoziare l’accordo del 2015. «Ciò che il suo consigliere ha detto sul Jcpoa per noi non è un criterio», ha aggiunto. «Gli Usa hanno violato la risoluzione 2231 e si sono ritirati, causando gravi danni al popolo iraniano. Pertanto, gli Stati Uniti ne devono rispondere» ha concluso il portavoce.

 

In Iran dopo quattro anni di Donald Trump, sanzioni, l’assassinio del generale Qassem Suleimani compiuto dagli Usa e schermaglie che hanno portato i due paesi a un passo dalla guerra, la voce che si leva più alta è quella dell’ala dura e di cui si fa interprete la Guida suprema Ali Khamenei. «L’inimicizia dell’America nei confronti dell’Iran deriva dal fatto che non abbiamo accettato la loro politica tirannica, l’unico modo per terminare le ostilità è impedire loro di colpirci ancora», ha detto Khamenei commentando la vittoria di Joe Biden.