Colpi di fulmine al Mix
Kermesse Il Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer torna ad animare gli spazi milanesi del Piccolo Teatro Strehler, del Teatro Studio Melato e del CAM Garibaldi con quattro giornate tra visioni, dibattiti, incontri, approfondimenti e dj set. Dal 26 al 29 settembre
Giunto alla sua 38ª edizione, MiX – Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer torna ad animare gli spazi milanesi del Piccolo Teatro Strehler, del Teatro Studio Melato e del CAM Garibaldi con quattro giornate giostrate tra visioni, dibattiti, incontri, approfondimenti e dj set. Dal 26 al 29 settembre.
#NoShame è il tema cardine di quest’anno, un invito a sposare la propria autenticità senza censure espressive: «La società in cui viviamo ci spinge ad essere sempre efficienti, avere la risposta giusta, non fermarci mai, e lascia ai margini con violenza chi non riesce o non vuole farlo. Con #NoShame vogliamo mettere al centro una riflessione sulla vulnerabilità, riabilitare i punti di rottura. Non dimentichiamoci che in questo paese ancora ci si toglie la vita perché omosessuali, pensiamo all’uomo di 33 anni di Palermo di pochi giorni fa. Il cinema e l’arte possono aiutarci a ritrovare la nostra rotta», hanno così commentato i direttori artistici Priscilla Robledo e Pierpaolo Astolfi.
Il programma dei film – ricchissimo come sempre tra lunghi di fiction (43 titoli di cui 34 in anteprima nazionale, tra cui Una película barata (A cheap movie) debuttodel regista spagnolo Osama Chami, assistente di Pedro Almodovar), documentari e cortometraggi, consultabile sul sito mixfestival.eu – vanta una selezione variegata tra intrattenimento tout court e sperimentalità irriverente. Tra le ospiti e gli ospiti, Immanuel Casto, Enorma Jean, Simone Alliva, Romina Falconi, Daniele Gattano, Nehellenia, Karma B, Francesca Cavallo, Donatella Diamanti, Margherita Ferri.
Il nostro primo colpo di fulmine è Sebastian (domenica 29, ore 18.00, Teatro Strehler, anteprima italiana) del finlandese-britannico Mikko Mäkelä, qui alla sua seconda esperienza nel lungometraggio ma già a suo agio nell’utilizzare il dispositivo con matura consapevolezza (il titolo è stato presentato all’ultimo Sundance Film Festival e presto uscirà sulla piattaforma di Open Reel Distribuzione). La storia ruota attorno alla figura di Max, aspirante scrittore di verdissima età con l’ossessione per Bret Easton Ellis, intento a dar forma al suo primo romanzo di narrativa legato al mondo dei sex worker; non riuscendo, però, a ricevere stimoli creativi senza un approccio diretto, decide in prima persona di iscriversi a un sito di escort adottando «Sebastian» come nome fittizio, ovvero il protagonista delle pagine che sta imbastendo. Da questo momento Max/Sebastian inizia un viaggio sempre più inquietante fatto d’incontri con uomini maturi e padri di famiglia, subendo talvolta sospetti, ostracismi e violenze. Una sorta di coming of age polarizzato sulla scommessa creativa, ovvero di restituire un racconto «vissuto» sulla propria pelle senza edulcorazioni o iperboli. Ma in realtà Mäkelä crea anche un dramma venato di suspense, invaso da «prove del fuoco» costituite da incontri a pagamento in alberghi asettici o in ristoranti laccati, alla stregua degli stessi clienti facoltosi che si comportano come se si trovassero davanti al bancone del macellaio: «Non ho pagato per dormire», risponde uno di questi al giovane. Il protagonista, incarnato da Ruaridh Mollica (classe 1999), tratti pulitini e fanciulleschi dall’apparente candore immaturo, si rivela una sorpresa d’espressività in antitesi alle patinature della messa in scena contrastando, con forza, le anime sporche che popolano la storia.
Ed è un’ulteriore nota positiva ritrovare Jonathan Hyde, figura signorile legata al mainstream hollywoodiano (Jumanji, Titanic, La mummia, Richie Rich), il cui personaggio (un cliente di Max/Sebastian) attua una sorta d’incesto intellettuale purificato dalle affinità elettive col giovane protagonista, unendosi in un profondo legame dove a emerge è la sintonia cerebrale in luogo della meccanicità dell’amplesso a comando.
Il tuffo nella sperimentalità, invece, lo facciamo con S/He is Still Her/e – The Official Genesis P-Orridge Documentary (venerdì 27, ore 15.30, Teatro Studio Melato, anteprima italiana) di David Charles Rodrigues su Genesis P-Orridge, pioniera della scena industrial con i Throbbing Gristle e, successivamente, leader della band Psychic TV. Realizzato nell’ultimo anno di vita di P-Orridge (scomparsa nel 2020 a causa della leucemia), questo lavoro si poggia su una preziosa ricerca di immagini d’archivio, tra soluzioni reperite da supporti analogici, spumose insegne in Technicolor anni Trenta ed evocazioni lisergiche da rivoluzione avanguardistica (P-Orridge ricordiamola anche per essere stata punto focale del genere Acid House, ha conosciuto William S. Burroughs nel ’71 e Brion Gysin diverrà suo mentore): «Trasgressore fantastico o aggressore sadico?» titolava il Guardian a seguito delle performance «scandalose» (influenzate dall’Azionismo viennese) attuate sulle scene inglesi di inizio anni Settanta col collettivo COUM Transmissions (pensiamo ad Airborn Spells, Landborn Smells tra teste di pollo e assorbenti insanguinati).
L’essenza della figura di P-Orridge è stata quella di «scoprire nuove strade di percezione artistica», di interrogarsi sul potere dell’orgasmo e del piacere, di ipotizzare la sottile linea di confine tra «galera» e «creatività»; è stata precorritrice del sentimento fluido dei nostri giorni, ripudiando in tempi non sospetti gli archetipi maschili e addentrandosi senza alcun tabù nell’esplorazione dell’identità di genere arrivando, con l’appoggio dell’adorata seconda moglie Lady Jaye (deceduta nel 2007), a concepire una «nuova forma di specie» col Pandrogeny Project: dopo una serie di interventi chirurgici le due puntarono a rassomigliarsi come in un gioco di specchi per dare vita a una propaganda aperta all’androginia. A inframmezzare i racconti della stessa P-Orridge e i numerosi spezzoni reperiti lungo cinquant’anni di vita tra privato e professionale, intervengono anche Alice Genese, Paul Bee Hampshire, David J e le figlie Caresse e Genesse (avute con la prima moglie Paula) le quali ricordano tra commozione e divertimento quando i genitori le portarono da piccolissime a vedere Toy Story. Ed è qui che la forza del cinema ruggisce e riesce nell’impresa di neutralizzare il (pre)giudizio altrui con una zampata.
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