Gli arrestati e gli indagati si difendono. I politici chiacchierati e/o intercettati smentiscono. I sindaci e i presidenti regionali – da Enrico Rossi a Stefano Bonaccini – condannano. Ma chiedono che le grandi opere, dal sotto-attraversamento fiorentino della Tav all’autostrada Cispadana, vadano avanti. Nonostante che le 268 pagine dell’ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti documentino una situazione talmente patologica da lasciare interdetti anche i pasdaran delle cosiddette “grandi opere”.

Per tutte, possono bastare i lavori dell’alta velocità tra Bologna e Firenze. Quelli che disseccarono fiumi e torrenti del Mugello, provocarono frane e devastazioni, inaridirono interi territori. Anche allora la direzione dei lavori era stata affidata dal Consorzio Cavet (con Fiat in pole position) alla Ingegneria Spm di Stefano Perotti. Il quale, secondo un suo collaboratore intercettato dal Ros dei carabinieri, aveva incassato 70 milioni di euro: “Per non fare un cazzo…, un ufficietto in Fiat… e hanno aumentato del 40% il valore dell’opera. Il 40% sono tutte opere accessorie, impressionante”. Del resto il figlio Philippe Perotti, parlando con un amico, spiegava: “Devi riuscire a prendere una impresa seria che sappia fare bene i lavori, e il 30% te lo porti a casa”.

Mentre il procuratore capo Giuseppe Creazzo e i suoi sostituti Mione, Turco e Monferini ascoltano alcuni blindatissimi testimoni, il quadro della situazione è tratteggiato in tre parole dal predecessore di Creazzo. “Non sono sorpreso”, commenta Giuseppe Quattrocchi, che adesso è in pensione ma è stato impeccabile protagonista delle inchieste avviate dalla sua procura sulla “cricca” e sulla corruzione nei grandi appalti pubblici, dalla Tav al G8.

Quelle inchieste sono state progressivamente “atomizzate”. Smembrate fra diverse procure e tribunali, con il rallentamento dei processi e delle sentenza. E con la prescrizione dietro l’angolo, specialmente per i reati giudicati colposi, in primis quelli ambientali. Succederà così anche stavolta? Per certo il difensore di Ercole Incalza, Titta Madia, ha già spiegato di voler sollevare la questione della competenza territoriale: secondo lui non dovrebbero essere quegli impiccioni di fiorentini a indagare su queste cose. Guarda caso, successe così anche ai tempi della cricca.

Nel preparare la difesa per il suo storico cliente, uscito indenne (fra assoluzioni e prescrizioni) da 14 inchieste e atteso oggi a Regina Coeli dall’interrogatorio di garanzia, l’avvocato Madia ha anche anticipato: “E’ un processo di corruzione in cui manca la materia prima, cioè i soldi”. Ma di soldi, tantissimi soldi, scrive il gip Pezzuti, riepilogando il cammino di Incalza, Perotti e compagnia negli ultimi 15 anni. A colpi di appalti delle “grandi opere” per almeno 25 miliardi di euro. Pubblici. Con varianti e adeguamenti che facevano salire i costi fino al 40, 50%. E con favori, lavori e cadeau distribuiti a pioggia, nei cerchi concentrici del potere.

Si scaldano i grandi avvocati: Stefano Perotti ha nominato Franco Coppi. Mentre Franco Cavallo, l’uomo delle mediazioni, collaboratore di Lupi e presidente di Centostazioni spa, sceglie Mario Brusa. Il quarto arrestato, Sandro Pacella, uomo di Incalza, ha nominato il suo stesso difensore, Titta Madia. Nel mentre Gaetano Quagliariello smentisce le parole – intercettate – di Incalza che si vanta di aver scritto il programma di governo del Ncd. Mentre il viceministro Nencini ringrazia Maurizio Lupi che, nonostante i guai personali, prova a derubricare a chiacchiere scherzose l’endorsement di Incalza, antico esponente della “sinistra socialista ferroviaria” di Claudio Signorile, in favore dei compagni del garofano craxiano Nencini e Umberto Del Basso De Caro. Entrambi nominati viceministri nel governo di Matteo Renzi il rottamatore. Rottamatore di che?