Fa una certa impressione ricevere un comunicato stampa in cui il Museo di Capodimonte e Costa Crociere sono i due soggetti (messi sulla stessa linea, come nei biglietti degli sposi) che, insieme, invitano a una visita delle collezioni e a una gita nel Real Bosco.
Niente in contrario rispetto alla possibilità che i turisti delle navi possano godere dell’arte usufruendo del pullman che offre il loro «pacchetto-vacanze» (il luogo non è ben servito dai mezzi pubblici, è vero, ma da fine aprile c’è uno shuttle voluto proprio dal nuovo direttore Sylvain Bellenger). Forse, però, si è generata un po’ di confusione nel sistema «Beni culturali». Al punto che l’annuncio della conferenza stampa ha visto sullo stesso piano il direttore del museo partenopeo e il direttore Sales & Marketing Italia di Costa Crociere, Carlo Schiavon. E pure è accaduto che la direzione del Bosco abbia impedito l’accesso a un gruppo di bambini ed educatori provenienti da Scampia per non disturbare una festa organizzata, sempre da Costa Crociere, nell’area della fontana del Belvedere.

C’è qualcosa che non quadra? Forse sì. Un museo bellissimo come Capodimonte, con opere strepitose, ha perso il suo appeal negli ultimi anni perché aveva sale desolatamente chiuse (la cronica assenza di guardiania), era difficile da raggiungere e non si facevano più mostre per mancanza di budget – soprintendenze con casse vuote. Poi, d’improvviso, la situazione si è rovesciata. E si può mettere a posto un parco meraviglioso lasciato andare alla deriva, immaginarsi lì ristoranti e campi per lo sport. Allora, la domanda è: i fondi da utilizzare dove erano nascosti? Cosa è successo per far cambiare così il vento? Stiamo ragionando di volontà politica o di reale asfissia economica?

«Basta polemiche, i soldi per la cultura ci sono», hanno affermato in completa sintonia il ministro del Mibact Dario Franceschini e il premier Matteo Renzi da Roma, durante la presentazione del completamento della prima fase di restauro sul Colosseo (il 2018 è l’anno di consegna finale). Certo, lì il denaro necessario lo ha dato Diego Della Valle, ricevendo in cambio uno sfruttamento del marchio «Colosseo» a tempo e mano libera sulla pubblicizzazione dei lavori intorno a quel monumento così simbolico che è l’Anfiteatro Flavio. I privati sono sempre i benvenuti come donors e mecenati, ma il problema, ancora una volta, sta nel metodo e nelle delegittimazioni dei ruoli. Ci sono state moltissime perplessità sulla qualità scientifica di questo restauro, sullo sganciamento del «fattore tutela» del Colosseo. Per esempio la pulitura per tirare a lucido (va mostrata al mondo) la superficie e la rimozione delle patine che rendono poroso il travertino, attaccabile dagli agenti atmosferici.