I più forse storceranno il naso. Fantascienza italiana? Le nuove leve cinefile, cresciute a pane e Tarantino, si chiederanno com’è possibile che anche nel nostro paese creassimo pellicole di astronavi, mostri alieni e spazi profondi. Invece il nostro cinema più oscuro è colmo di generi, dall’horror al film di guerra fino, appunto, alla fantascienza. Certo non ci sono (forse) capolavori, ma buone opere, molte trascurabili, per budget e messa in scena, ma non tutto è da buttare. La parte del leone, il più delle volte, la fanno però le musiche: inventive più della pellicola che commentano, calando lo spettatore dentro lo spazio, malgrado la cartapesta e il budget povero. Di questa armata Brancaleone vi parleremo: un pugno di eroi scalcagnati che cercò, fallendo, di essere a Cinecittà come a Hollywood.

STRANE INVENZIONI
Si racconta che, sul set del film comico con Franco e Ciccio, 002 Operazione Luna, diretto da Lucio Fulci, un attrezzista urlò, tutto fiero, con in mano un groviglio di lampadine: «Ahò dottò, er cosmo è pronto». Tante luci colorate, un telone, un intero universo: quasi una poetica che unirà tutti (o quasi) i nostri film di fantascienza. Se i soldi non ci sono, ci si inventa, facile. Così Mario Bava, guardando un microfono molto illuminato, si chiedeva: «E se lo trasformassimo in un grattacielo?». Non si tratta di cialtroneria, beninteso, ma di fantasia al potere che si muove, graffia e divampa, come fosse un incendio, quando i soldi non ci sono. D’altronde è facile per Ridley Scott girare un Alien con 11 milioni, ma ultimare un Alien 2 sulla terra, come fece nel 1981 il napoletano Ciro Ippolito, dopo essersi mangiato tutti i soldi del budget (sembra) in donne, alberghi e gioco d’azzardo, è più arduo. Come è impossibile, almeno sulla carta, girare un film di fantascienza con a disposizione solo rocce di cartapesta, scarti di qualche film mitologico, e appunto un cosmo posticcio. Eppure proprio da qui partiamo, un set vuoto e Mario Bava che inventa, inventa, fino a creare uno dei nostri film di fantascienza più amati, iconici e imitati di sempre, Terrore nello spazio, un’opera incredibile, anticipatrice sia dell’Alien di Ridley Scott che di tutta quella fantascienza un po’ paranoica alla John Carpenter degli anni Ottanta. La colonna sonora poi di Gino Marinuzzi Jr. è qualcosa di innovativo, incredibilmente moderna, con uno score elettronico, uno dei primi in Italia, che anticipa di almeno due decenni i gusti del pubblico. Immergersi nel commento musicale, ben 21 tracce, raccolte in un imperdibile cd edito dalla DigitSoundtracks nel 2003, è qualcosa di incredibile: ti porta nello spazio siderale, con una marcia funebre che sembra uscita da un’opera lovecraftiana di Lucio Fulci tipo Paura nella città dei morti viventi. Ascoltarla di notte ti regala brividi ed è uno dei motivi per cui questa pellicola, del 1961, è ancora adesso ricordata e studiata. Terrore nello spazio non era la prima avventura di fantascienza italiana, ma è stato senza dubbio, al pari delll’horror La maschera del demonio, l’apripista, la pellicola zero con il quale tutti i registi successivi bene o male avrebbero dovuto rapportarsi. La prima in assoluto fu un cortometraggio del 1908 di 5 minuti, muto, proiettato a Messina, dal titolo L’avvisatore di terremoto, una visione che, con il suo registro grottesco, divertì il pubblico. Poche ore dopo, purtroppo, un cataclisma uccise metà della popolazione della città siciliana. La fantascienza era diventata tragicamente realtà.
Prima di Terrore nello spazio c’erano stati diversi esperimenti, soprattutto in ambito commedia, del genere sci-fi. Basti pensare al famoso Totò nella luna di Steno, del 1958, scritto tra gli altri da Lucio Fulci, con le efficaci musiche di Alexandre Derevitsky. Lo stesso anno però Paolo Heusch gira La morte viene dallo spazio, una cupa storia di meteoriti che minacciano la Terra in anticipo di decenni sul filone catastrofico che farà tanta fortuna nel cinema statunitense, da Meteor di Neame del 1979 alle recenti pellicole di Roland Emmerich. A fotografare, curare gli effetti speciali, e sembra pure a girare intere sequenze, è ancora Mario Bava così come farà, poco tempo dopo, per il body horror sci-fi Catilki il mostro immortale di Riccardo Freda, sancendo di nuovo la paternità del genere. Paolo Heusch però non è Bava e il film visto a distanza di sessant’anni non regge più: troppo ingenuo e tecnicamente debole, vale come interessante prototipo per studiare il nostro cinema di fantascienza. Di diverso spessore le sue musiche, a opera di Carlo Rustichelli, orchestrali, ipnotiche, quasi delle marce che scandiscono l’arrivo della catastrofe sulla Terra.
Il nome però che più di ogni altro si farà strada nel cinema sci-fi italico è quello di Antonio Margheriti: regista famoso per i suoi horror gotici, si fece conoscere per una serie di film di fantascienza così ben realizzati da essere concorrenziali con l’estero. I suoi Space Men, girato per metà in bianco e nero nelle scene spaziali, Il pianeta degli uomini spenti, I diafanoidi vengono da Marte, La morte viene dal pianeta Aytin, Il pianeta errante e I criminali della galassia, realizzati tra il 1960 e il 1966, sono il punto più alto, con Terrore nello spazio di Mario Bava, del nostro cinema di astronavi e alieni. Questi film, conosciuti anche come Il ciclo di Gamma Uno, non ebbero purtroppo fortuna in Italia, ma grazie alle tante invenzioni, narrative e visive, furono apprezzati da insospettabili fan, come il caso di Stanley Kubrick. Tra le varie colonne sonore, tutte molte efficaci, spicca soprattutto quella di Angelo Francesco Lavagnino per I diafanoidi vengono da Marte, musica elettronica così all’avanguardia da essere fantascienza.

SCONTRI STELLARI
Un altro cineasta molto prolifico nella fantascienza è Luigi Cozzi, aiuto regista per molti film di Dario Argento, e autore a sua volta di una serie di pellicole bellissime e sciagurate. È il caso di Scontri stellari oltre la terza dimensione del 1979, all’estero ribattezzato «Star Trash» per la sua fama non proprio eccelsa: si tratta di un chiaro plagio di Guerre stellari con però quei tocchi assurdamente geniali che contraddistinguono le pellicole di questo autore. Immondizia o capolavori: il confine in questi casi è labile e sta al gusto dello spettatore. Se l’opera di Cozzi è oltre ogni concezione critica, le musiche di John Barry sono invece incredibilmente buone con gran uso di archi e fiati, inventive, orchestrali, degne di altri lidi.
La fantascienza non si è fermata qui ma ha proseguito con tanti titoli, la maggior parte brutti plagi di successi stranieri. Negli anni Ottanta possiamo vantare un notevole I guerrieri dell’anno 2072 (1983) di Lucio Fulci, colonna sonora di Riz Ortolani a base di rock elettronico, ma anche gli infelici capitomboli di Bruno Mattei (Vincent Dawn) con il clone più scellerato di Predator, Robowar, effetti speciali risibili e un villain vestito da motociclista. Anche in questo caso le musiche sono molto buone, opera di Al Festa, più orientate verso sonorità disco music.
Salvatores prova nel 1997 a dare nuova linfa vitale al genere con l’incompreso Nirvana interpretato da un intenso Christophe Lambert, ma il pubblico non premia il film, troppo ibridato tra l’esistenzialismo di Philip K. Dick e il cinema corale del regista. La colonna sonora invece fu un successo raggiungendo il secondo posto nelle classifiche di vendita dedicate alle soundtrack, oltre a fruttare a Mauro Pagani e Federico De Robertis la candidatura al David di Donatello nella categoria miglior musicista.
La traccia di apertura Whatever It Is è interpretata da Raiz degli Almamegretta, hip hop dalle tonalità elettroniche, anche se il pezzo più intenso emotivamente è John Barleycorn (Must Die) dei Traffic, una ballata dolcissima che accompagna il suicidio del protagonista Jimi Dini mentre i fiocchi di neve cadono su Bombay City, il luogo dove «passato, presente e futuro danzano insieme».
Dopo c’è solo l’oblio dell’amatorialità con pregevoli prodotti come Dark Resurrection (2007) di Angelo Licata, onesto rip off di Star Wars, interpretato, tra gli altri, dalle notevoli Giorgia Wurth e Sara Ronco. Tutto ben confezionato, senza dubbio, ma lontano dalla creatività che il nostro cinema di fantascienza, soprattutto nella decade dei Sessanta, ha sfoggiato. Un cinema che andrebbe ripescato, non dimenticato come «lacrime nella pioggia» mentre Roy Batty/Rutger Hauer muore.