La reazione di Israele è stata immediata. In risposta alla convocazione degli ambasciatori israeliani in Italia, Francia, Gran Bretagna e Spagna, dopo l’annuncio, una settimana fa, della costruzione di altre 1.800 case per coloni ebrei in Cisgiordania e a Gerusalemme est, il premier Netanyahu giovedì sera ha accusato l’Unione europea di «ipocrisia». Subito dopo il ministro degli esteri Lieberman ha convocato i rappresentanti diplomatici di Roma, Madrid, Parigi e Londra in Israele. Il suo portavoce ha spiegato che «il continuo schierarsi contro Israele e a favore dei palestinesi è inaccettabile…oltre alla faziosità e all’ignoranza della realtà della situazione, le posizioni di questi Stati minacciano in maniera significativa la possibilità di raggiungere un accordo tra le parti». Dopo l’accusa di «ossessività» che il ministro degli esteri Moshe Yaalon ha rivolto al Segretario di stato Usa John Kerry per la sua insistenza nel volere portare israeliani e palestinesi a un accordo, adesso Lieberman dice che l’Europa è ignorante rispetto alla «realtà della situazione». Accuse e offese che tradiscono la frustrazione del governo Netanyahu per il crescente isolamento della sua politica di colonizzazione e occupazione . Certo, da qui a parlare di crisi nelle relazioni di Tel Aviv con Washington e Bruxelles ce ne passa. Qualche problema comunque esiste.

Nel botta e risposta di ieri si è inserita anche la rappresentante della politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, che attraverso la sua portavoce ha ribadito che «Gli insediamenti (colonici) sono illegali per la legge internazionale e costituiscono un ostacolo alla pace, minacciando di renderla impossibile». La linea di Bruxelles sulle colonie è stata affermata anche dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, ieri in visita al Consiglio legislativo palestinese. « Sugli insediamenti la posizione dell’Europa è chiara, adesso si tratta di capire le modalità di tutto questo», ha detto Boldrini, durante un punto stampa organizzato dopo l’incontro avuto a Ramallah con un gruppo di deputati palestinesi. Al termine la Presidente della Camera ha risposto brevemente ad alcune nostre domande.

In questi giorni lei ha avuto modo di visitare e verificare di persona tante situazioni. Non crede che ci sia un bisogno urgente di applicare le risoluzioni internazionali per dare una soluzione giusta a questo conflitto.
Sicuramente ci sono tanti livelli, tante stratificazioni. Per avere un punto di convergenza, bisogna partire prima del 1967 ma anche creare i presupposti per dare sostenibilità al processo (di pace). Oggi durante l’incontro (con i parlamentari palestinesi) sono emerse parecchie problematiche. I palestinesi ci chiedono come Europa di essere più presenti, di essere parte dei negoziati, ritengono che (al momento) non ci sia quella equidistanza per una completa credibilità.

Come può l’Europa far parte del negoziato. Israele non vuole un ruolo dell’Ue al tavolo delle trattative. La funzione dell’Europa secondo gli israeliani deve essere solo quella di sostegno economico.

Non c’è bisogno di prendere parte direttamente al negoziato per svolgere un ruolo. Occorre che le controparti credano nella terzietà di chi negozia. Quello è il presupposto per fidarsi e per andare avanti. La parte palestinese chiede più Europa nel negoziato e a mio avviso occorre andare incontro a questa richiesta senza intaccare il negoziato che (il segretario di stato) Kerry sta facendo. Tutti gli riconoscono un impegno generoso. Allo stesso tempo i palestinesi chiedono che a questo sforzo generoso si accompagni una presenza più determinante da parte europea. E’ complicato ma dovremmo prendere atto di questa richiesta, poi si deciderà nelle sedi opportune, però questo è quello che è uscito da questo incontro. Più Europa e più attenzione alle richieste palestinesi.

E anche più attenzione e applicazione della legalità internazionale

I palestinesi hanno molto insistito sul ritorno dei rifugiati che per loro è ancora un punto cruciale e irrinunciabile. E’ una delle questioni non risolte da parte israeliana. Sul ritorno dei rifugiati ci sono tantissime riserve. I nodi ci sono tutti, però c’è anche l’intento di volere arrivare a dei risultati. Il capogruppo di Fatah questo lo ha sottolineato più volte: crediamo nel dialogo, vogliamo andare avanti, nel fare questo ci sarebbe bisogno di più Europa.