A quasi quattro anni dalla storica firma dell’accordo di pace tra il governo colombiano e le Farc, è ancora la guerra a dominare la scena nel paese. Una guerra che finora era stata combattuta a colpi di omicidi selettivi di dirigenti sociali, leader indigeni e ambientalisti ed ex guerriglieri, ma che sembra adesso registrare un nuovo salto di qualità.

Nelle ultime settimane, infatti – con l’ex presidente Álvaro Uribe, il guerrafondaio per eccellenza, in custodia domiciliare con l’accusa di corruzione e frode -, la Colombia è attraversata da una serie di massacri, in particolare nelle regioni in cui la presenza narco e paramilitare risulta più massiccia.

MA NON È TUTTO: a cadere, in questa nuova ondata di violenza, sono soprattutto i giovani: ben 20 (su un totale di oltre 30 vittime) a partire dal 9 agosto, quando due studenti di 15 e 17 anni sono stati uccisi a un posto di blocco paramilitare al confine tra i dipartimenti di Cauca e Nariño. Appena due giorni dopo, in un quartiere sudorientale di Cali, sono stati trovati i corpi senza vita di cinque giovani di 14 e 15 anni, vittime di percosse, coltellate e spari a corta distanza.

Il 15 agosto un altro massacro, nel municipio di Samaniego, in Nariño, con un bilancio ancora più pesante: a cadere sono stati 8 giovani di età compresa tra i 17 e i 25 anni, contro cui quattro uomini hanno sparato all’impazzata.

L’ultimo episodio di violenza è avvenuto martedì, nella regione del Catatumbo, nel dipartimento di Norte de Santander, dove tre giovani sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco da un gruppo paramilitare legato al narcotraffico. Ma prima ancora, il 12 agosto, era stata assassinata con 12 pugnalate, e poi sgozzata, la figlia di una ex combattente precedentemente minacciata di morte: con lei salgono a 20, dalla firma degli accordi di pace, gli omicidi commessi contro familiari di ex guerriglieri.

UN’ONDATA DI VIOLENZA che Camilo González, presidente del Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (Indepaz), riconduce alle mafie del narcotraffico, che starebbero «approfittando della situazione di pandemia e della debolezza dello Stato rispetto alle politiche di protezione sociale sul territorio».

In questo quadro, le organizzazioni in difesa dei diritti umani esigono dal presidente Iván Duque «risposte immediate» all’«impunità imperante». Ma, al solito, il presidente minimizza, negando che il paese si trovi di fronte a una nuova stagione di massacri: «Usiamo l’espressione precisa: si tratta di omicidi collettivi». E la risposta del governo non sembra andare oltre il progetto di riprendere le fumigazioni aeree di glifosato per sradicare le coltivazioni di coca, peraltro in violazione del Piano nazionale di sostituzione volontaria previsto dagli Accordi di pace.

«Lo Stato risponde solo con la militarizzazione», evidenzia il presidente di Indepaz, denunciando il mancato rispetto degli accordi del 2016, che prevedevano «la protezione delle comunità, il loro reinserimento nella legalità e lo sviluppo rurale».