Un ferito grave e una quarantina di arresti. Sei giornalisti fermati, attrezzature sequestrate. Questo il bilancio delle prime giornate di sciopero nazionale a oltranza proclamato lunedì in Colombia. Inizialmente indetto da contadini e minatori, el Paro nacional agrario è stato via via raggiunto da numerosi altri settori sociali e categorie di lavoratori: minatori, operai, camionisti, studenti, insegnanti, medici…

Una protesta contro le scelte neoliberiste del governo, in particolare contro gli effetti del Trattato di libero commercio (Tlc) voluto dagli Stati uniti. Manifestazioni si stanno svolgendo in diverse regioni della Colombia. «Il governo ha imposto al paese le sue nefaste politiche antisindacali e antipopolari, che applicano alla lettera le ricette dell’imperialismo neoliberista», scrive in un comunicato la Central unitaria de Trabajadores (Cut). Insieme ad altre organizzazioni popolari e reti sociali, il sindacato ha denunciato la repressione subita dalle manifestazioni pacifiche, soprattutto nella zona ai confini con l’Ecuador e nel dipartimento del Cauca, dov’è stato ferito gravemente un ragazzo di 17 anni e dove si è verificata la più alta percentuale di arresti (22 già durante il primo giorno).

Il presidente Juan Manuel Santos si dice disposto al dialogo, ma su tavoli separati, a livello locale e su singole vertenze. Molte rivendicazioni sono infatti di categoria – nella città di Cartagena, diversi sindacati operai hanno convocato tre manifestazioni distinte per esigere dal governo accordi non rispettati – ma i manifestanti chiedono un tavolo unico di trattativa. Per questo hanno istituito la Mesa de interlocucion y Acuerdo Agropecuaria y Popular (Mia) in cui hanno avanzato sia rivendicazioni economiche che politiche: misure concrete per far fronte alla crisi della produzione agricola, risorse sociali per la popolazione rurale e urbana in termini di casa, salute, educazione, servizi pubblici, ma anche accesso alla proprietà della terra, partecipazione effettiva delle comunità e dei minatori alle politiche minerarie e di sviluppo, e l’adozione di misure e garanzie reali per l’esercizio dei diritti politici della popolazione rurale.

Temi emersi già nel conflitto del Catatumbo, una zona al confine con il Venezuela, e sui quali i contadini hanno obbligato il governo a negoziare. Questioni avanzate nel corso di numerose assemblee che si sono svolte nelle comunità rurali e indigene e in cui è stata messa a punto l’ossatura “dal basso” dell’agenda di dialogo tra il governo e la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Un negoziato in corso all’Avana dal novembre scorso con il supporto di Cuba, Norvegia e Venezuela a cui si è aggiunta anche l’altra guerriglia attiva in Colombia, quella dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln). Nella fase dei negoziati che si è chiusa il 10 agosto, le parti hanno registrato “progressi” sui due primi punti (sui complessivi 5 in agenda), quello dello sviluppo agrario e quello della partecipazione politica. Restano sul tavolo la questione delle droghe illegali, la smobilitazione della guerriglia e il risarcimento alle vittime di un conflitto che dura dal ’64.

Santos, che vorrebbe concludere le trattative entro novembre, quando deciderà se presentarsi alle prossime presidenziali in Colombia, ha parzialmente riconosciuto le responsabilità dello stato. A luglio, nel corso di un’udienza presso la Corte costituzionale ha dichiarato che lo stato colombiano «è stato responsabile per omissione o azione diretta di alcuni suoi membri, di gravi violazioni ai diritti umani». Le Farc (come anticipato nell’intervista a Calvo Ospina, pubblicata sul manifesto del 13 agosto) hanno annunciato la disponibilità a riconoscere la propria parte nel dolore provocato. Quindi hanno espresso solidarietà allo sciopero generale in corso e hanno invitato il governo a non «criminalizzare la protesta».