Se la pace non è solo assenza di guerra, in Colombia tutto è ancora in alto mare. Con la fine delle ostilità, è rimasto inalterato il livello di violenza contro i leader sociali: 113, in base ai dati Onu, quelli assassinati nel corso del 2017.

UNA LITANIA DI MORTE che non ha per nulla impressionato il ministro della Difesa Luis Carlos Villegas, il quale ha assicurato che non c’è nulla di sistematico in questo massacro, che il paramilitarismo non esiste e che pertanto tali omicidi sono riconducibili alla delinquenza comune.

Ciliegina sulla torta: spesso si tratta, ha detto, di líos de faldas, di affari di donne. E se il governo, pressato dalle denunce internazionali, ha dovuto infine adottare provvedimenti per offrire garanzie di sicurezza ai dirigenti comunitari e ai difensori dei diritti umani, tutto procede a rilento e con difficoltà, perfettamente in linea con l’andamento del processo di pace dopo la nefasta decisione della Corte Costituzionale di annullare due paragrafi dell’Acto Legislativo para la Paz che impedivano al Congresso di modificare le leggi di attuazione degli accordi, autorizzando così i parlamentari a presentare emendamenti e ad approvare o respingere articolo per articolo.

Così, a oltre un anno dalla firma dell’Accordo di pace tra il governo e le Farc – già rivisto al ribasso dopo la vittoria del No al referendum sulla prima versione dell’accordo – la riforma politica e la riforma rurale integrale sono rimaste sulla carta; il programma di sostituzione volontaria delle piantagioni di coca con coltivazioni che soddisfino le necessità alimentari della popolazione (a cui si sono iscritte ben 115mila famiglie) è fermo; poco o nulla si è fatto per favorire la reincorporazione degli ex guerriglieri; la creazione delle Circoscrizioni Speciali per la Pace per l’elezione in Parlamento di 16 rappresentanti delle vittime del conflitto armato è sospesa per una controversia sul raggiungimento o meno del numero legale durante la votazione al Senato e la Giurisdizione speciale per la pace (Jep) – riconducibile a quel modello di giustizia restaurativa pensato per la riabilitazione tanto della vittima quanto del carnefice ai fini di una reale riconciliazione nel paese – ha subito un sostanziale stravolgimento, riducendo il proprio raggio d’azione ai soli guerriglieri delle Farc e assicurando l’impunità agli altri attori del conflitto, come politici, funzionari dello Stato, imprenditori e latifondisti (che potranno scegliere se sottoporsi o meno alla Jep). Una giustizia a misura dell’élite al potere.

NON SORPRENDE COSÌ che solo il 45% degli ex guerriglieri, secondo la denuncia di Jean Arnault, capo della missione Onu in Colombia, sia rimasto negli Spazi territoriali di incorporazione alla vita civile previsti dal processo di pace per favorire il reinserimento della guerriglia nella società attraverso progetti produttivi e programmi di formazione professionale. E se ciò non significa un ritorno degli ex combattenti alla clandestinità, denota tuttavia una profonda sfiducia nell’azione del governo.

C’è tuttavia ancora tempo per invertire la rotta, hanno evidenziato i rappresentanti della Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común (il partito in cui si è trasformata la guerriglia), intervenendo alla riunione promossa dal governo per tracciare un bilancio a un anno dalla firma degli Accordi dell’Avana: basterebbe che il presidente Santos esercitasse le potestà straordinarie attribuitegli dalla Costituzione, hanno spiegato gli ex leader guerriglieri ponendo l’accento sugli obblighi internazionali assunti dallo Stato al momento della firma degli accordi di pace.