All’Avana, dov’è in corso il tavolo di trattative tra il governo colombiano di Manuel Santos e la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie (Farc), per la prima volta si prospetta la possibilità di una tregua bilaterale fra le parti. Le Farc hanno annunciato la sospensione dei combattimenti per un mese, prorogabile a quattro, a partire dal 20 luglio. E Santos, fino ad ora sempre contrario a sospendere i bombardamenti e gli omicidi mirati dei guerriglieri, per la prima volta ha dichiarato che si adopererà per ridurre l’intensità delle azioni militari. L’importanza del momento è stata definita da un comunicato congiunto dei mediatori, che discutono dal 2012.
Il capo dei negoziatori governativi, Humberto de la Calle, ha detto che lo stato colombiano «prenderà le misure che riterrà opportune» per ridurre il livello del conflitto, in funzione di quel che farà la guerriglia. Non ha tuttavia precisato di quali misure si tratterà, e ha anzi aggiunto che «non sarà un processo facile», tuttavia ha ribadito «l’impegno a lavorare per raggiungere un accordo». Per valutare il rispetto della tregua al termine dei quattro mesi, si è chiesta la presenza di un delegato del segretario generale delle Nazioni unite e di un altro della presidenza di Unasur. Il blocco regionale, nella riunione tenuta dai ministri degli Esteri in questi giorni, in Brasile, ha ribadito la propria disponibilità a facilitare il processo di pace, sostenuto da tutte le forze di sinistra in Colombia.

Sia i paesi garanti del percorso, sia le Nazioni unite, sia soprattutto i movimenti e la sinistra di alternativa, chiedono da tempo un cessate il fuoco bilaterale. A Bogotà, il 22 e il 23 luglio, l’arco di forze che ha accettato di votare il neoliberista Santos a patto che porti a buon fine la soluzione politica del cinquantennale conflitto armato, accompagnerà i negoziati con una riunione ad ampio spettro che ruoterà soprattutto sulla fine del paramilitarismo, sempre presente in Colombia. Il grande sponsor dei paramilitari è stato ed è l’ex presidente Alvaro Uribe, ora inveterato avversario del suo ex ministro della Difesa Santos. Da una recente analisi sul conflitto in Colombia, risulta che, su 1.000 processi per la restituzione delle terre ai piccoli contadini, nell’81% dei casi i paramilitari sono coinvolti nella spoliazione delle terre e nelle violenze. I gruppi paramilitari hanno provocato il 38,4% delle oltre 6.000 vittime censite dall’84 al 2013. Recenti processi hanno anche ricordato il ruolo degli alti comandi nei cosiddetti falsi positivi, l’uccisione di civili o manifestanti fatti passare per guerriglieri per giustificare il fiume di denaro accordato dagli Usa alle politiche repressive.

Finora, l’agenda dei dialoghi ha realizzato importanti accordi parziali sul tema di una riforma agraria integrale, sulla partecipazione politica in sicurezza per l’opposizione, sulle droghe illecite, su un programma comune di sminamento, che si è già messo in marcia, e sulla creazione di una Commissione di verità per il cui modello sono allo studio alcuni precedenti applicati in America latina alla fine delle dittature. Su quest’ultimo punto le associazioni delle vittime si sono recate all’Avana.

Per le Farc e per la sinistra di alternativa che scommette su quest’occasione, perché le trattative non finiscano in un nulla di fatto o, com’è già accaduto in passato, nel massacro dei militanti che optano per la lotta istituzionale, occorre rimuovere alla radice le cause del conflitto: che ha origini antiche e che si alimenta con le persistenti disuguaglianze. Il primo problema che ha portato alla nascita delle due principali guerriglie – quella marxista delle Farc e quella guevarista dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) – attiene alla lotta per la terra, iniziata negli anni ’20 del secolo scorso. Il secondo riguarda l’esclusione politica, la chiusura di veri spazi di agibilità per l’opposizione, che rimanda all’assassinio del dirigente progressista Eliecer Gaitan, il 9 aprile del 1948. Un omicidio che diede avvio a un’esplosione popolare, repressa nel sangue – il Bogotazo.

Intanto, intellettuali e giornalisti di tutto il mondo hanno firmato un appello per la liberazione di Sergio Segura, corrispondente di Colombia informa, arrestato insieme ad altre 14 persone. Secondo la Fundacion para la libertad de prensa (Flip), nel 2014 sono stati oltre 164 i giornalisti vittime di persecuzione e violazione dei diritti umani da parte dei paramilitari, e quest’anno le denunce sono già 84. «Non vogliamo la pace del sepolcro», hanno gridato in questi giorni attivisti, studenti e difensori dei diritti umani durante una manifestazione per chiedere la libertà di 12 leader sociali, accusati di aver compiuto attentati.