È cominciato ieri all’Avana un nuovo ciclo di incontri tra la delegazione del governo colombiano e quella della guerriglia marxista Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Sul tavolo un’agenda in cinque punti per trovare una soluzione politica a oltre mezzo secolo di conflitto armato. Sui primi due si è già raggiunto un accordo: a maggio, si è conclusa la discussione sullo sviluppo agrario, a novembre, quella sulla partecipazione politica. A dicembre si è cominciato a trattare il tema delle droghe, ma senza molti progressi e domani si riprende a discutere: fino al 23 gennaio, quando scadrà il periodo di tregua unilaterale dichiarato per le festività natalizie dalle due principali guerriglie (la seconda è quella dell’Esercito di liberazione nazionale, l’Eln). Se il dialogo tiene, si passerà poi a esaminare il tema della riparazione delle vittime, quello della smobilitazione e infine si dovrà trovare il meccanismo perché l’accordo di pace diventi legge: per Santos, un referendum, per le Farc un’assemblea costituente.

I primi passi nelle trattative sono stati mossi in Norvegia, il 19 novembre, poi si è proseguito a Cuba. Oslo e l’Avana sono i paesi garanti, Venezuela e Cile, gli accompagnatori. Il primo forte tentativo di mediazione è partito durante la presidenza di Hugo Chávez, che ha portato al dialogo l’attuale presidente colombiano Manuel Santos, ex ministro della Difesa di Alvaro Uribe e suo successore. Nel cambiamento di clima tra i due governi finirono per rimetterci il giornalista colombiano Joaquin Becerra, estradato da Caracas a Bogotà e Guillermo Enrique Torres Cueter, alias Julian Conrado, arrestato a Caracas il 31 maggio del 2011. Conrado, «il cantante delle Farc», è stato liberato venerdì dalla Corte suprema di giustizia venezuelana perché il governo colombiano ha ritirato la domanda di estradizione nei suoi confronti. Ha potuto così recarsi all’Avana, richiesto tra il gruppo dei negoziatori. Ma prima dovrà curarsi la salute: «È il trionfo dell’irriverenza popolare», ha dichiarato in Twitter ringraziando il governo Maduro e la solidarietà internazionale che lo ha sostenuto con messaggi e petizioni.
«È il trionfo dell’impunità», ha ribattuto Uribe, ormai in campagna elettorale contro il suo ex ministro della Difesa. Il 9 marzo si terranno le legislative in Colombia, il 25 maggio le presidenziali. Secondo i sondaggi, oltre i due terzi dei cittadini (il 68%) approva il processo di pace e sostiene per questo il presidente nonostante i suoi programmi neoliberisti. Santos, che si ripresenta alle urne il 25 maggio, ha così aumentato il gradimento dal 41% registrato in novembre al 46%, in dicembre. «Il 2014 sarà un anno di decisioni cruciali», ha detto nel messaggio di fine anno. E ieri, dopo aver espresso cordoglio per la morte dell’ex Primo ministro israeliano Ariel Sharon, ha difeso la scelta di recedere dal perseguire Conrado: «In queste trattative, nessuna parte sottomette l’altra», ha affermato. Allo stesso tempo, ha ribadito l’intenzione di «continuare a combattere i gruppi armati illegali», e ha espresso la propria soddisfazione perché la Colombia «è il paese che ha registrato la maggior crescita economica dell’America latina nel 2013».

A chi profitti la crescita è apparso una volta di più evidente durante il Paro Agrario, il grande sciopero nazionale contro il neoliberismo che ha interessato la Colombia per diversi mesi, a partire dall’estate scorsa. Il coordinamento dello sciopero (la Mesa Nacional Agropecuaria y Nacional de Interlocucion y Acuerdo – Mia -) ha denunciato la repressione su vasta scala che ha provocato morti e violazioni dei diritti umani e quasi 300 arresti. Nel 2013 sono stati uccisi 65 leader comunitari e 26 sindacalisti. I paramilitari delle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc) sono stati smobilitati nel 2006, ma hanno continuato a uccidere con altra veste. E presto potrebbero riacquistare la libertà circa 27.000 paracos che hanno usufruito delle compiacenti leggi varate fino al 2010 durante il mandato del loro grande protettore Uribe (2002-2010).

Il 4 gennaio è stato ritrovato il corpo senza vita del leader contadino Giovany Leiton insieme a quello della sua compagna, torturati e uccisi a San José del Palmar, nel dipartimento del Choco. Lo stesso giorno è stato arrestato il professor Francisco Pacho Toloza, dirigente del movimento politico e sociale Marcia Patriottica, attivo nel sostegno al processo di pace. Oggi è stata convocata una manifestazione per chiedere la fine della sua ingiusta detenzione e per denunciare «la perversa pratica di criminalizzare l’opposizione sociale e la resistenza popolare».

Qualche giorno fa è stato ucciso anche Gerson Martínez, promotore della campagna di mobilitazione in favore del sindaco di Bogotà, Gustavo Petro, incorso nelle grinfie di un noto magistrato uribista che vorrebbe toglierlo di mezzo. Petro è un ex-guerrigliero dell’M-19, gruppo scomparso nel ’90. Da allora è un navigato uomo delle istituzioni, prima senatore, poi sindaco come candidato del Movimiento Progresistas per il periodo 2012-2015. Gerson era un graffitaro, leader del movimento di hip hop Pazur, un attivista molto conosciuto. La sua uccisione suona anche come un avvertimento per le organizzazioni sociali. Venerdì scorso i sostenitori di Petro sono tornati in piazza anche per chiedere la verità sul suo assassinio.

«Non abbiamo mai avanzato così tanto in un processo di pace», ha detto Humberto De la Calle, capo della delegazione governativa nelle trattative in corso all’Avana. Questo è infatti il quarto tentativo di arrivare a una soluzione politica, oggi appoggiato da circa 50 capi di stato, governi, leader mondiali, istituzioni e organismi multilaterali. Quello precedente fallì intorno al 2002. Lo avevano avviato nel ’98 l’allora presidente Andres Pastrana e il fondatore delle Farc Manuel Marulanda. I “Dialoghi del Caguan”, portati avanti in una zona demilitarizzata nel centro del paese, avevano realizzato un accordo in 12 punti. Anche allora, la questione della riforma agraria, delle garanzie democratiche e di un nuovo modello di sviluppo ancorato a una diversa integrazione regionale erano al centro dei programmi. Un tentativo seppellito da Pastrana a fine mandato: in favore della guerra sporca finanziata dagli Usa attraverso il Plan Colombia.

In parallelo – ha rivelato un’inchiesta del Washington Post il 21 dicembre scorso – la Cia e il Pentagono approvarono fondi neri per l’eliminazione della guerriglia, a partire dal 2001: autorizzati prima dall’ex presidente Usa George W. Bush, poi dal democratico Barack Obama. Miliardi in bombe “intelligenti” e Gps per eliminare direttamente i leader della guerriglia, dentro e fuori la Colombia. Una collaborazione stretta tra Cia, Nsa (l’Agenzia di sorveglianza Usa chiamata in causa nel Datagate) e ufficiali colombiani. Nel 2008, quel programma portò al massacro di Sucumbios, in Ecuador. In un bombardamento notturno perse la vita il comandante Farc Raul Reyes con altre 25 persone. Il sequestro del suo computer continua a fornire pretesto per altri mandati di cattura, senza la minima garanzia di veridicità. Partono da lì anche le accuse nei confronti di Francisco Toloza. Alvaro Uribe, che si ricandida per il Senato nonostante i diversi processi che lo chiamano in causa come sponsor attivo dei paracos, ha riconosciuto l’aiuto diretto ricevuto dalla Cia e anche dai servizi segreti britannici. E ne ha rivendicato l’efficacia. Il suo ex ministro della Difesa lo ha superato per numero di «esecuzioni mirate» contro i leader della guerriglia.

Nel 1985, dopo la firma dei cosiddetti “accordi della Uribe” con l’allora presidente Belisario Betancour, le Farc si presentarono alle elezioni all’interno di un’alleanza legale, l’Union Patriotica (Up). Fecero eleggere 14 parlamentari, più diversi sindaci e consiglieri. In pochi anni, l’azione congiunta tra governo e paramilitari portò però all’eliminazione di parlamentari e militanti. Vennero uccise circa 5.000 persone, compresi due candidati alla presidenza. Il programma dell’Up prevedeva un pacchetto di riforme politiche, sociali ed economiche (in primo luogo la riforma agraria), simile a quello in gioco nelle trattative all’Avana.

Ieri, le Farc hanno invitato i sostenitori della pace a votare scheda bianca alle elezioni e a sostenere invece «il processo costituente che si è messo in moto» e che prevede la rappresentanza «di tutte le forze politiche economiche e sociali»: a partire dalle «comunità contadine, indigene, afrodiscendenti, dalle vittime del conflitto, dalle donne organizzate e dalle comunità Lgbt». La Costituzione che sorgerà dal processo costituente – hanno scritto – sarà il vero trattato di pace, giusto e vincolante, che sigilla la riconciliazione e cambia il destino della nazione». Quanto al tema delle droghe illegali, la guerriglia ha denunciato il fallimento delle politiche governative che hanno favorito gli affari sporchi di «narcotrafficanti e banchieri corrotti».