I negoziati di pace tra le Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) e il governo di Manuel Santos, in corso a Cuba, stanno per portare i primi frutti? A sei mesi dall’inizio delle trattative – messe in campo con la mediazione del Venezuela e proseguite poi con quella della Norvegia e di Cuba – alcuni giornali in Colombia hanno dato per certo il raggiungimento di un primo accordo: l’avvio di una riforma agraria «strutturale e profonda», primo punto dei cinque messi sul tavolo della trattativa dalla guerriglia marxista (la più longeva dell’America latina).

Per cominciare, almeno 3 milioni di ettari dovrebbero essere consegnati ai contadini senza terra o a quelli il cui appezzamento non rende e non basta per dar loro da vivere. Terreni incolti di proprietà statale o confiscati al narcotraffico e ai paramilitari. Il governo colombiano ha fatto sapere che, dall’inizio del dialogo (il 19 novembre) a oggi, ha investito 152 milioni di dollari per un piano di attualizzazione catastale che darà risultati da qui al 2014 e in altre misure sociali inerenti la salute, l’educazione, le infrastrutture e la casa.

Le Farc però smentiscono e precisano che qualunque accordo con il governo dovrà tener conto delle 100 proposte presentate dalle assemblee che da mesi si stanno svolgendo in tutto il paese e che hanno coinvolto lavoratori, contadini, studenti e indigeni. Gli esclusi dal gioco politico, che si sono fatti sentire a più riprese organizzando manifestazioni e dibattiti con il movimento Marcia patriottica. L’ultimo grande appuntamento, la manifestazione del 9 aprile a Bogotà.

«Questa è un’occasione storia, non solo per l’opposizione in Colombia, ma anche per la stabilità del continente latinoamericano», ha detto al manifesto l’ex senatrice Piedad Cordoba, convinta fautrice del dialogo. «Se non vi fossero profondi disequilibri e ragioni strutturali non sarebbe mai nata una guerriglia. Quello colombiano è un sistema politico bloccato, corrotto e poroso che impedisce una reale alternativa nel paese. Chi lotta per realizzarla viene perseguito. Se questo non cambia, non ci sarà pace in Colombia».

L’altro punto dirimente delle trattative è infatti quello della partecipazione politica e delle garanzie per esercitare una reale opposizione in un paese che vanta un altissimo tasso di omicidi di sindacalisti e comunisti. Le Farc chiedono al governo di riconoscere la responsabilità storica del sistema di potere nelle violenze (oltre 3,7 milioni di sfollati e 600.000 morti in cinque decadi), di risarcire le vittime del conflitto e di indire un’Assemblea costituente.

«Non si può iniziare una nuova tappa di ricolonizzazione e di violenza per salvare il latifondo – dicono le Farc – Non si può iniziare un nuovo ciclo di rapina e accumulazione, vendita all’estero delle terre, sfruttamento minerario, occorre cercare soluzioni alimentari basate sul concetto di sovranità». Sul tavolo del dialogo anche la sorte dei prigionieri politici, molti dei quali condannati all’ergastolo negli Stati uniti. Sullo sfondo, le elezioni politiche in Colombia, nel 2014, a cui Santos ha deciso di ripresentarsi.

Anche Cordoba vorrebbe candidarsi alla presidenza, appoggiata da un arco di associazioni e movimenti. Una denuncia per supposti legami con la guerriglia le è però costata l’interdizione dalla politica parlamentare per 18 anni. La ex senatrice ha però presentato un ricorso alla Corte costituzionale e al Consiglio di stato: «Sono figlia di Chávez e di Bolivar, ho diritto a presentarmi», ha detto in Venezuela, e ha denunciato le ingerenze belliciste dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe.