«Abbiamo deciso di creare un triplice meccanismo di monitoraggio e di verifica dell’accordo sul cessate il fuoco e sulla fine delle ostilità, bilaterale e definitivo e per l’abbandono delle armi che generi fiducia e garanzie…» Così inizia il comunicato congiunto emesso all’Avana dai rappresentanti del governo colombiano e della guerriglia marxista Farc. Ieri è stato compiuto un passo decisivo verso la soluzione politica che, nelle intenzioni del presidente colombiano Manuel Santos potrebbe essere realizzata entro il 23 marzo.

Per marcare l’importanza del momento, domenica scorsa il presidente cubano Raul Castro si è riunito con i mediatori, giunti all’Avana per una fase finale di «confronto permanente». Già a settembre, quando Santos si era recato di persona a Cuba, Raul Castro era comparso in una storica foto a tre, insieme al neoliberista presidente colombiano e al leader delle Farc Timoshenko. E ora si prepara ad assumere un nuovo ruolo: non solo come ospite e garante, insieme al Venezuela, del processo di pace che dura dal 2012, ma anche come rappresentante di un paese membro della Celac, la Comunità degli stati latinoamericani e caraibici. Toccherà infatti alla Celac essere uno dei tre componenti della commissione internazionale che dovrà garantire il rispetto degli accordi, insieme all’Onu e ai rappresentanti delle due parti in conflitto.

La Commissione a tre dovrà verificare, per un periodo di un anno prorogabile, il buon funzionamento del meccanismo, e anche dirimere le contingenze che potrebbero sorgere mentre agiscono i tribunali della Giustizia transizionale. Fra i punti in discussione ai tavoli dell’Avana, si è infatti raggiunta un’intesa sulla riparazione delle vittime, ma ora si tratta di capire in che modo si potrà garantire il rientro in sicurezza delle guerriglie nella vita politica. Il rischio che tutto finisca in un altro massacro come quello perpetrato da esercito e paramilitari contro l’Union Patriotica negli anni ’80 è infatti ancora presente.

Inoltre, la guerriglia chiede l’istituzione di corridoi umanitari in cui potrebbe funzionare una speciale normativa per garantire la continuità legale di un potere di fatto già esistente, conquistato in diverse zone durante oltre cinquant’anni di conflitto armato e con l’appoggio soprattutto dei contadini poveri. Un altro punto delicato è quello dei prigionieri politici, detenuti sia in Colombia che negli Stati uniti. Santos ha annunciato ieri che nel corso di questa settimana è prevista la liberazione di 7 donne e 10 uomini, che fanno parte di un primo gruppo di prigionieri che usufruiscono dell’indulto approvato tre mesi fa e che avrebbero dovuto già uscire prima di Natale.

Le Farc hanno presentato una lista di 84 combattenti che sono gravemente malati, e hanno denunciato le costanti violazioni dei diritti umani compiute nelle carceri. Tuttavia, nonostante un lungo sciopero della fame dei detenuti, il governo Santos ha finora fatto orecchie da mercante. Attualmente, rimangono in carcere circa 9.000 prigionieri politici, 1500 dei quali appartenenti alla guerriglia. Gli altri sono dirigenti indigeni, sindacalisti e militanti delle organizzazioni popolari.