È iniziata nel migliore dei modi la corsa di Gustavo Petro alla presidenza della Colombia. Il doppio appuntamento elettorale di domenica scorsa – per il rinnovo del Congresso e per la definizione dei candidati alle presidenziali del 29 maggio – è stato un successo, per lui e per la sinistra. Alle primarie presidenziali, Petro si è infatti affermato non solo come il candidato ufficiale della sua coalizione, il Pacto Histórico, con oltre l’80% di preferenze, ma anche, con 4 milioni e mezzo di voti, come quello più votato in assoluto, incassando mezzo milione di voti in più di quelli che l’attuale presidente Iván Duque era riuscito a raccogliere nelle primarie del 2018.

NESSUN DUBBIO quindi che sia lui il favorito alle elezioni del 29 maggio, quando dovrà vedersela con Sergio Fajardo, vincitore delle primarie della coalizione Centro Esperanza, con circa 720mila voti, e soprattutto con l’ex sindaco di Medellín Fico Gutiérrez, che, con più di 2 milioni di preferenze, ha trionfato in quelle della coalizione di destra, Equipo por Colombia, oltre che con alcuni candidati che non hanno concorso alle primarie, come Ingrid Betancourt, la leader e fondatrice del Partido Verde Oxígeno sequestrata dalle Farc nel 2002.
Sono state anche le prime elezioni dopo 20 anni che non hanno avuto come protagonista l’ex narcopresidente Álvaro Uribe, il quale ha rinunciato a candidarsi al Congresso dopo essere risultato, nel 2018, il senatore più votato della storia del Paese con oltre 860mila preferenze.

CHE L’URIBISMO, rimasto escluso dalle primarie, sia ormai sul viale del tramonto lo ha indicato del resto il magro risultato delle legislative, in cui ha visto ridursi di molto la sua pattuglia parlamentare – dai 19 senatori e 32 deputati del 2018 ai 14 e 16, rispettivamente, di oggi -, passando dal primo al quinto posto al Senato e dal primo al quarto posto alla Camera. Un risultato su cui ha pesato indubbiamente l’infimo livello di consensi nei confronti del “subpresidente”, come il popolo colombiano ha ribattezzato Duque per la sua dipendenza dal leader della destra più estrema e guarrafondaia: è lui uno dei grandi sconfitti della giornata, pagando la totale chiusura alle rivendicazioni portate avanti dalla rivolta sociale, la sconfessione completa degli accordi di pace del 2016, la continuità del genocidio politico.

E non è un caso che Oscar Zuluaga, il candidato del Centro Democrático fondato da Uribe, abbia già annunciato il ritiro dalle presidenziali, garantendo, in funzione anti-Petro, il proprio appoggio a Gutiérrez, il nuovo volto della destra colombiana.
A festeggiare il risultato delle elezioni, in cui non sono mancate irregolarità e violenze, è comunque, oltre a Petro, tutto il Pacto Histórico, risultato la forza principale tanto al Senato (con poco più del 14% dei voti) quanto alla Camera dei deputati. Ma per quanto si tratti del miglior risultato del progressismo nella storia del paese, il Pacto Histórico, con i suoi 16 senatori e 25 deputati, resta comunque una forza di minoranza all’interno di un Parlamento estremamente frammentato. Con la conseguente necessità per Petro, nel caso in cui sia lui a vincere le presidenziali, di negoziare con altre forze politiche. Non per niente il leader progressista, nel suo discorso dopo la vittoria, ha invitato il Partido Verde, il Partido Liberal e persino i «conservatori con etica» a dare vita «a un grande fronte ampio e democratico».

SORRIDE in particolare, all’interno della coalizione progressista, la grande rivelazione di queste elezioni: la leader afrocolombiana e Premio Goldman (il Nobel per l’ambiente) 2018 Francia Márquez, che, con il suo slogan «Io sono perché noi siamo», ispirato all’etica tradizionale sudafricana Ubuntu, è giunta seconda dietro a Petro con ben 781mila voti, più di quelli ricevuti dal vincitore delle primarie del centro Sergio Fajardo.