In media hanno tra i 40 e i 59 anni. La quasi totalità possiede un diploma di scuola superiore, anche se cresce il numero delle laureate. Negli ultimi due anni le donne italiane impiegate nei servizi di cura, assistenza alle famiglie o alle persone non autosufficienti, il baby sitting, sono aumentate dal 3,73% nel 2011 al 9,26% del settembre 2013. Questo sarebbe l’effetto della crisi registrata in uno dei bacini occupazionali che sono cresciuti maggiormente negli ultimi dieci anni. I dati sono contenuti in un’indagine Censis, condotta su un campione di 1500 collaboratori domestici in tutto il paese, realizzata per Assindatcolf, l’associazione nazionale dei datori di lavoro domestico.

Il lavoro di cura è un’attività femminile (l’82,4%), svolta tra i 36 e i 50 anni (56,8%), da donne in maggioranza straniera e in particolare di nazionalità est europea (Romania e Ucraina), mentre si riscontra una forte presenza della comunità filippina. Le donne rappresentano la maggioranza assoluta, 1 milione e 665 mila persone (+53% dal 2001) che lavorano per quasi 2 milioni e 600 mila famiglie. In termini assoluti, la diffusione di questa attività tra le italiane è comunque rilevante ed è causato dall’aumento dei licenziamenti o dalla messa in mobilità nelle fabbriche, in particolare nel Nord-est. Questa tendenza era stata rilevata sin dal 2009 a Treviso, Udine o Venezia dove oggi le donne sono occupate nell’assistenza agli anziani o nei lavori domestici. In Lombardia ha investito persone che hanno perso il lavoro negli uffici dove spesso erano impiegate in mansioni impiegatizie. In città come Milano o Roma le donne si dedicano all’assistenza ai neonati o dei bambini in età scolare. In questi casi, la percentuale di chi possiede una laurea si attesta tra l’1,8 e il 2%.

A Roma è stata rilevata l’intenzione da parte di molte lavoratrici di continuare a lavorare in questo settore. La sceltà non viene considerata episodica, o a termine, bensì duratura e motivata alla luce di una persistente mancanza di impieghi ulteriori. Il riscontro è avvenuto in base all’aumento delle richieste di partecipazione a corsi di formazione per le mansioni domestriche e per il lavoro di cura agli anziani e ai bambini.

Il dato delle lavoratrici domestiche laureate non dovrebbe però rimuovere la condizione di quelle straniere, ucraine o russe, il cui titolo di studio – diploma o laurea – non viene risconosciuto in Italia. Molte di loro hanno insegnato a scuola o nelle università. A Roma, il reddito lordo oscilla tra i 7800 e i 9500 euro, per contratti che prevedono 25-30 ore a settimana. Oltre al centro, lavorano nelle case della zona nord della Capitale, Cassia, Trieste, Parioli o Salario. L’impiego in questi settori cresce del 20-25% all’anno.

In Emilia Romagna, secondo i dati di UnionCamere, sono occupati 78.655 lavoratori domestici (il 9,8% del totale in Italia), 69.549 sono donne, 9.106 gli uomini. Anche in questa regione si registra la propensione delle italiane per i lavori domestici e di assistenza ai bambini, mentre le straniere lavorano nell’assistenza agli anziani. In questi casi sono due le fasce di reddito, la prima è pari a circa 8 mila euro, la seconda è di 13 mila. Bologna è la città dove sono occupati più lavoratori domestici (2,7%). In generale, la situazione contrattuale dei lavoratori domestici è geograficamente differenziata tra il Nord, dove quasi la metà delle famiglie rispetta i contratti (47,3%), e il Centro e il Sud dove il sommerso raggiunge numeri consistenti, rispettivamente il 23,3% e il 23,7%. A Sud, il lavoro nero dilaga: nel 53,9% dei casi non c’è, ad esempio, il versamento dei contributi Inps. In molti casi, il lavoro nero sembra essere superiore rispetto a quello regolare.

«Occorre affrontare oggi il problema – ha sostenuto Andrea Zini, vice-presidente Assindatcolf – questi 2 milioni di lavoratori tra 10,20,30 anni saranno anziani e chiederanno una prestazione pensionistica, tutta o in parte a carico dello Stato».