Come si costruisce un evento musicale, oltretutto di una band che dal 2002 ad oggi ha piazzato qualcosa come 60 milioni di dischi in tutto il mondo? A tappe, coinvolgendo in parallelo la rete e i social network con pochi – e calibratissimi – eventi live. Lo sanno bene i Coldplay che negli ultimi tempi più che sulle copertine dei magazine musicali, sono finiti in pasto ai rotocalchi e ai siti scandalistici a causa della fine del menage matrimoniale fra la diva Gwyneth Paltrow e il loro leader, Chris Martin. Serve, si devono essere detti alla Parlophone – confluita come tutta la gloriosa Emi nel gruppo Warner – una virata decisa.

Ecco quindi pronta una vigorosa grancassa mediatica per il lancio del sesto album da studio della band inglese diventata dagli esordi di Parachutes (2000) l’ensemble pop rock più amato e discusso nell’eldorado delle sette note. A tre anni di distanza da Mylo Xyloto – vendutissimo ma dalla creatività latitante – arriva il 20 maggio nei negozi virtuali, digitali e fisici Ghost stories…, un disco su cui la Warner punta molto per chiudere in attivo i bilanci di fine anno, tanto da giustificare un ascolto blindato alla stampa e addirittura una liberatoria fatta firmare prima di far partire lo streaming. Un’opera sulla quale i quattro ragazzi londinesi si sono applicati per benino. La prima impressione rivela un lavoro sicuramente più ispirato dal precedessore e nonostante la presenza di un team impressionante di produttori – oltre agli stessi Coldplay ci sono Paul Epworth, Rik Simpson, Jon Hopkins, Dan Green, Timbaland, Avicii, molto più curato e lieve nei suoni, addirittura in qualche frangente più adatti a una platea ambient piuttosto che a un’arena o a uno stadio in tripudio.

Tanta medidabonda amarezza è dettata dalla «crisi» matrimoniale in cui il bel Chris è precipitato, come conferma l’interessato: «Per me Ghost stories è stato come se i miei fantasmi del passato abbiano influenzato il mio presente e il mio futuro. Sostanzialmente si tratta di un percorso sonoro di 42 minuti fatto su un tapis roulant»… E i nove pezzi funzionano bene, intriganti anche nei momenti meno riusciti come l’apertura ondeggiante di Always in My head o la dance tamarra – unica presenza ritmata nel cd – di A Sky Full of Stars griffata appunto Avicii, hanno una loro dignità. Certo quando le melodie e la voce di Chris Martin, come non mai vicina alla perfezione fra glissati e falsetti che si rincorrono giocando con più armonie vocali, si fondono, ci si avvicina pericolosamente alla perfezione del pop, come i quattro ci avevano abituati al loro esordio e in A Rush of Blood to the head (il loro capolavoro). E se Magic e Another’s Arms colpiscono all’istante, il piccolo capolavoro si palesa in Midnight cone le sue note soffuse, la voce di Chris filtrata al sintetizzatore e una sequenza di beat anni settanta da brividi. Non è un caso che il remix sia stato affidato a Giorgio Moroder…