L’importante ed emblematica vittoria della ex portavoce della Piattaforma vittime del mutuo (Pah) Ada Colau a Barcellona non è che l’inizio di un lungo cammino. Colau il 13 giugno si trasformerà nella prima «sindaca» (non essendo più da anni un’eccezione, in spagnolo e catalano ormai il femminile di «sindaco» è accettato nel linguaggio comune) della città fondata 2.233 anni fa dai romani. Ma il consiglio comunale di Barcellona è più frammentato che mai. Dei 41 consiglieri, solo 15 sono già stati consiglieri (10 di loro sono gli eletti dal partito del sindaco uscente Xavier Trias, la democristiana Convèrgencia i Unió, Ciu).

I partiti rappresentati sono sette: 11 consiglieri vanno al movimento guidato da Colau, Barcelona en Comú, 10 a Convèrgencia (ne avevano 14 nel 2011, e anche loro governavano in minoranza), 5 vanno a Ciutadans, il partito nato in Catalogna su posizioni nazionaliste centraliste e spesso alleato con il Pp (di fatto, la sua capolista era deputata del Pp) e che ora ha fatto il salto nazionale; seguono cinque consiglieri di Esquerra Republicana (Erc), il partito che appoggia fortemente l’indipendenza catalana, che si rafforza.

I socialisti rimangono con soli 4 consiglieri (ne avevano 11), i popolari guidati dal fratello del ministro degli interni spagnolo sono al lumicino con tre (ne avevano 9) e infine entra per la prima volta il movimento di sinistra assemblearista e indipendentista della Cup con tre consiglieri. In questo panorama caotico, gli equilibri politici saranno difficilissimi. Non esiste una maggioranza alternativa che possa sostituire Colau, ma dovrà patteggiare ogni misura. «Daremo priorità agli accordi con Erc, socialisti e Cup» ha già dichiarato ieri la futura sindaca – d’altra parte, non è che abbia altre alternative. La aspettano 4 anni complicati. Fra le priorità che indicava nella conferenza stampa di ieri c’è il «piano-shock» per bloccare gli sfratti, finanziare le mense scolastiche per i più povere e lottare attivamente contro la corruzione. Ha anche promesso che si rivedranno molti protocolli per l’azione della Guardia Urbana, in questi anni al centro di molte polemiche per violenze. I nemici affilano già le armi. Xavier Trias l’ha definita «autoritaria» e già le piovono accuse per non essere sufficientemente indipendentista.

«Mi indigna che prima del suo discorso (in catalano, ndr) le cantassero «sí se puede», in spagnolo (l’inno del 15M, ndr)», si è letto su varie reti sociali. Ed è solo l’inizio. Colau che, senza essere indipendentista ha votato un doppio Sì al referendum dell’autunno scorso (sì a essere definiti «nazione», sì all’indipendenza) ha ribadito ieri, strizzando l’occhio a Cup e Erc, che Barcelona en comú è a favore del diritto dei catalani di scegliere il proprio futuro.

Il ruolo che gioca Barcellona nel futuro del processo verso l’indipendenza catalana promosso da CiU, Erc e Cup è evidente, e il fatto che CiU abbia perso mette in difficoltà il presidente catalano Artur Mas, dello stesso partito. Ieri iniziavano già i dubbi sulla data del 27 settembre per convocare le elezioni anticipate catalane promesse da Mas a Esquerra a cambio del loro appoggio al suo fragile governo. CiU si mantiene sì il primo partito in Catalogna, ma perde un terzo dei voti (passando dal 27% al 21% in termini relativi), i socialisti (che rimangono al 17%, erano a più del 25%) mentre i popolari affondano fino al 7%. Esquerra cresce, ma meno del previsto. I socialisti riusciranno a mantenere almeno un governo nelle città principali catalane (a Tarragona). La Cup passa dal 2% al 7%, e conquista il governo di alcune piccole città. La somma dei tre partiti esplicitamente indipendentisti cresce, passando dal 39% al 45%, ma non raggiunge la maggioranza. I giochi per la grande sfida delle elezioni catalane sono ancora tutti aperti, e i risultati ottenuti potrebbero spingere da una parte all’abbraccio fatale fra CiU e Erc in un’unica lista indipendentista, e dall’altra i recalcitranti partiti di sinistra a un’alleanza simile a Barcelona en comú. Già si fa il nome di chi potrebbe guidarlo: si tratta di una monaca, Teresa Forcades –una storia curiosa che racconteremo un’altra volta.

Intanto arrivano altre buone notizie dal fronte catalano. Il partito xenofobo Piattaforma per la Catalogna è praticamente scomparso e ha mantenuto solo 8 dei più di 67 consiglieri nei comuni catalani. A Vic, dove il movimento è nato e non ha più rappresentanti, per la prima volta una (affollata) coalizione di cinque partiti di sinistra potrebbe allontanare CiU dal governo della città. D’altra parte Badalona, l’unico comune importante catalano guidato dai popolari, lo xenofobo sindaco Xavier García Albiol (che parlava di “ripulire la città” dagli stranieri) quasi certamente non riuscirà a riprendere il controllo della città.

La Catalogna, dove stavolta ha votato quasi il 60% degli aventi diritto (nel 2011 l’aveva fatto il 55%) si conferma come una comunità molto variegata politicamente, e dove i voti a sinistra superano il 60% dei voti espressi.

Comunque la si guardi, i 7 milioni di catalani, una buona fetta dei quali aspira a qualche forma di indipendenza, continueranno a giocare un gioco molto importante a livello nazionale.