Sergio Cofferrati, lei il 23 marzo 2002 portò in piazza 3 milioni di persone a pochi giorni dall’assassinio di Marco Biagi. Con le dovute proporzioni, la delicatezza della piazza di oggi è simile. È passato in Cgil per dare consigli a Landini?
Nessun consiglio, non ne ha bisogno. Così come non ne hanno bisogno Cgil, Cisl e Uil che sono organizzazioni abituate a tenere manifestazione nei momenti più delicati della storia della repubblica. Sono qui oggi solo per dare solidarietà e sarò in piazza come cittadino preoccupato di quello che è accaduto e che vuole far parte di una reazione democratica di massa.

L’ex segretario della Cgil Sergio Cofferati

Nel 2002 però la discussione sul tenere la manifestazione ci fu.
La confermammo il giorno dopo. Mi ricordo che la notizia dell’uccisione del professor Biagi mi arrivò in Toscana e che mentre tornavano a Roma per tenere la segretaria ci fermammo a un bar vicino Pistoia. Io stavo dicendo ai compagni che mi accompagnavano che bisognava mantenere la manifestazione e mi ricordo che il barista intervenne dicendo: “Confermatela, sarebbe un errore se non lo faceste”. Non ho mai avuto dubbi, però l’episodio conferma la consapevolezza delle persone.

Oggi avverte la stessa consapevolezza dopo l’assalto squadrista alla Cgil?
Sì, perché la devastazione della sede del più importante sindacato in Italia è vista dai lavoratori e dalle persone come una lacerazione della propria identità, del chi sei, dei propri valori. È una ferita profonda, non definita dall’entità del danno che anzi è irrilevante. Aver voluto sfregiare un’organizzazione storica come la Cgil significa superare la soglia d’allarme. E la risposta sarà forte con una manifestazione partecipata, sentita e pacifica. Ne sono sicuro.

La scelta di far parlare solo i tre segretari generali senza aprire per esempio ai partigiani dell’Anpi la condivide?
Sì, perché si tratta di una manifestazione essenzialmente sindacale e oggettivamente con un carattere delicato. E in più rilancia la piattaforma unitaria di richieste al governo.

Il fatto che le manifestazioni No Green pass si siano sgonfiate confermando la loro valenza mediatica è un fatto importante.
È evidente che già la decisione di annunciare subito, a poche ore dall’assalto di Forza Nuova, una manifestazione di risposta ha già prodotto un effetto. Se Casapound ha deciso – naturalmente come propaganda politica – di offrire fiori alle forze dell’ordine, significa che quell’area ha compreso che la china presa sabato scorso non era più percorribile. E che bisognasse tornare indietro.

Nonostante l’indicazione di non far portare bandiere di partito a nessuno, la destra ha scelto di non essere in piazza parlando di violazione del silenzio elettorale.
Secondo me è un errore. D’altro canto l’equidistanza espressa da Salvini e Meloni rispetto alle manifestazioni precedenti dei No Vax spiega bene l’atteggiamento prevalente a destra. Inoltre la piazza di domani (oggi, ndr) non avrà alcun effetto sui ballottaggi.

La richiesta della Cgil a Draghi di intervenire per decreto per sciogliere le organizzazioni neofasciste non è ancora stata accolta. In cambio il presidente del consiglio ha anticipato il decreto sulla Sicurezza sul lavoro.
Per evitare che prenda corpo una cultura di destra di ispirazione neofascista è utile sciogliere le organizzazioni come Forza Nuova applicando la Costituzione. Ma di certo non basta. Serve un lavoro quotidiano per far conoscere la storia perché non si ripeta ciò che è avvenuto: la sottocultura di destra è permeata dalla violenza e per combatterla serve che la democrazia sia la più estesa possibile.

Cofferati, il nostro giornale ha definito i risultati della sinistra alle amministrative “Quattro amici al bar”. Lei come li valuta?
I risultati rivelano una difficoltà della destra tanto che i sindaci eletti dal centrosinistra sfruttano proprio questo calo di voti. Menomale, ma di certo non c’è da illudersi. Quanto alla sinistra io vedo la necessità di costruire un campo largo partendo dal merito e da cose concrete: usare i soldi del Pnrr con priorità chiare come le politiche di transizione ecologica e qualità del lavoro.
È ottimista sul fatto che ci si riesca?
Preferisco non rispondere.