Sergio Cofferati (deputato europeo, S&D), reintrodurre i voucher è «indecente», come dice la segretaria Cgil Camusso?

È pessimo. Peraltro è in contrasto con quello che diceva lo stesso Di Maio alla presentazione del decreto. È chiaramente un condizionamento che ha subìto da parte della Lega. Sono le contraddizioni del governo, diventeranno esplosive.

La sinistra dovrebbe puntare su queste contraddizioni interne alla maggioranza?

Certo. Guardiamo al decreto: ai voucher va detto no. Altri provvedimenti camminano in una direzione giusta. I 5 stelle vanno sfidati in parlamento a rendere quei piccoli passi consistenti. Faccio un esempio.

Prego.

Va bene aumentare alle imprese il risarcimento per il lavoratore licenziato. Ma ci vuole la reintroduzione dell’art.18, com’era nel programma dei 5 stelle, perché per la piccola azienda l’aumento della penalità scoraggia il licenziamento discriminatori, per quella più grande no. Dunque serve una norma antidiscriminatoria, com’era nell’art.18.

Il Pd si divide fra chi vuole fare muro e chi vuole fare un lavoro parlamentare su alcune parti del decreto.

Il Pd è vittima dei suoi errori. Tutto ciò che modifica il jobs act per loro è pura sofferenza. Le contraddizioni del Pd sono così consistenti da portarlo a una scelta controproducente come il salario minimo per legge. Stiano attenti: può diventare distruttivo contro i contratti nazionali di lavoro. È un atto contro il sindacato. Per ottenere lo stesso risultato il Pd deve fare una battaglia sulla legge sulla rappresentanza che, insieme all’obbligo di far approvare i contratti, stabilisce di fatto per via pattizia l’introduzione dei minimi contrattuali settore per settore.

Siete contro il salario minimo perché mina il ruolo del sindacato?

Non per questo. Il salario minimo fa saltare un fondamento del contratto di lavoro, che è uno strumento di regolazione del conflitto fra chi lavora e chi fa impresa, ed è vantaggioso per il sistema economico perché tiene la concorrenza in ambiti regolati. Senza i quali c’è solo la gara a chi riduce di più i salari. Non a caso ormai i contratti sono riconosciuti come strumento utile anche al sistema delle imprese.

Il Pd si chiarirà nel suo congresso su questi temi cruciali per un partito progressista?

Sì. Speriamo che sia una discussione prima sulla linea e poi sui nomi. E che il Pd sappia valutare con realismo gli errori e cambi strada.

Crede possibile che il Pd si rimangi, per dire, il jobs act?

No, però sarebbe auspicabile.

La maggioranza gialloverde reggerà?

Per ora sì, ma cova contraddizioni destinate ad aumentare. Il tema dei diritti agitato dai 5 stelle non è percepito dalla Lega. Negli anni scorsi Lega e 5 stelle sull’economia erano all’opposto.

Però se mai dovesse rompersi la maggioranza, non c’è una sinistra in grado di offrire un’alternativa al governo.

Purtroppo è così. Vedremo quale sarà il profilo del Pd. Nel frattempo è importante che LiberieUguali, e altri che andrebbero coinvolti, riescano a costruire un partito. Senza accontentarsi di un aggregato di sigle. Con coraggio e discontinuità anche sulla linea economica e sociale, quasi invisibile in campagna elettorale. E sulla scelta di democrazia interna, nella costruzione del programma e della sua gestione.

Nel dibattito di LeU ci sono nodi cruciali: uno è il rapporto con il Pd.

Il problema non è Renzi, o il gruppo dirigente. È la linea politica. Oggi non ci sono elementi di convergenza fra Pd e LeU. In questa stagione la cosa importante è costruire un partito distinguendo il proprio orizzonte da quello del Pd. Il Pd risolva le sue contraddizioni. E noi proviamo a fare un partito di sinistra.

L’altro nodo è quello della collocazione europea. La sinistra europea si frantuma.

Le sinistre si stanno dividendo, dopo l’Italia ora anche in Francia, Germania e Spagna. Ma credo che ci sia una discriminante che può aiutare a ricomporle: stare o non stare in Europa. Certo, un’Europa da cambiare, senza fiscal compact, in cui la Bce sia trasformata in una vera banca centrale. Tutto ciò che evoca il piano B non va nemmeno messo in campo, neanche adombrato come invece ha fatto il ministro Savona. Lo dico da vecchio sindacalista: se uno ha un obiettivo, al tavolo del negoziato non nomina nessun piano B. Altrimenti è finita. In ogni caso: contro la destra sovranista e la destra liberista serve una sinistra plurale, non genericamente progressista ma capace di rilanciare l’idea dell’Europa su basi nuove.

Visto da Bruxelles la sovraeccitazione sovranista italiana che conseguenze provoca?

I sovranisti dell’Est sono entusiasti di avere un insperato aiuto dai paesi dell’Europa mediterranea. Nelle istituzioni c’è molta preoccupazione.

Che succede se alle europee vinceranno i sovranisti?

Che le future istituzioni europee, a partire dalla Commissione, rallenteranno l’attività. E che la possibilità di riforma sarà pari a zero.

L’Unione potrebbe saltare?

Non credo, è troppo impegnativa anche per chi è ostile all’Unione. No, il vero pericolo è lo svuotamento.

La sintonia fra i sovranisti del gruppo di Visegrad, e della Germania e dell’Austria rendono più forte e ascoltata l’Italia?

No, rendono l’Italia più debole, preda di contraddizioni.

La paura dei sovranisti spingerà i socialdemocratici ad aggrapparsi ancora di più al modello rigorista e delle grande intese?

I socialisti sono molto confusi. Il gruppo è fatto da componenti nazionali con orientamenti diversi. I più grandi, i socialdemocratici tedeschi, tengono con i denti l’intesa con Merkel per evitare il peggio. I portoghesi fanno l’opposto: stanno risanando un paese con una coalizione di sinistra senza drammi sociali e con un buon successo. Sono quelli che ottengono i risultati migliori.

Sceglieranno il rigorista Moscovici come candidato presidente della Commissione.

Difficile. I francesi oggi sono debolissimi.

’Grazie’ all’Italia gialloverde, l’Europa rischia di fare passi indietro sul piano dei diritti?

Clamorosi e sottovalutati. Non c’è la percezione del danno che possono produrre in prospettiva. Il calo demografico che l’Europa ha da anni richiede di essere compensato da una presenza di stranieri. Non c’è solo la necessità di riconfermare la solidarietà verso quelli che fuggono dalla guerre, e il diritto alla democrazia delle persone. Ma anche quella di gestire efficacemente l’immigrazione economica. Che oggi viene cancellata, rimossa.