Sergio Cofferati, il governatore della Bce Mario Draghi accetta la flessibilità sui conti in cambio di riforme. È una svolta o solo un cambio di facciata della dottrina dell’austerità?

La svolta non la vedo. Penso che ci sia un’esigenza oggettiva della Germania di tutelare il proprio export davanti ad un calo delle stime della sua crescita. E metto in conto che questo atteggiamento più aperto della Merkel, che comunque deve fare i conti con forti resistenze interne, dovrebbe aiutare anche noi. Quindi più che sulle parole di Draghi, farei affidamento e leva sui problemi della Germania. Credo che questo dibattito “riforme in cambio di flessibilità sui conti” sia molto italiano. Non credo che Draghi possa dire alla Merkel: diamo un po’ di flessibilità all’Italia perché ha fatto la riforma del Senato…

E difatti le riforme a cui pensa Draghi sono altre. E già si parla di riscrittura dello Statuto dei lavoratori…

Anche qui, dipende come lo si riforma. Lo Statuto va esteso e riorganizzato. Se è così io sono d’accordissimo. Ma non credo che la Bce apprezzerebbe una modifica del genere. Se invece si andassero a togliere diritti ai lavoratori la parola riforma verrebbe violentata. Il riformismo in politica significa miglioramento in positivo. Nel 2002, dopo la battaglia contro la modifica dell’articolo 18, la Cgil raccolse 5 milioni di firme presentando al Parlamento un disegno di legge di iniziativa popolare per riformare lo Statuto: un progetto di ampio respiro, che però non ebbe seguito”.

Mentre si andò al referendum sull’allargamento dell’articolo 18 che la vide contrario…

Sì, io avevo lasciato la Cgil, ma credevo fermamente che quel referendum fosse un errore. Ora credo che l’articolo 18 vada allargato a tutti, naturalmente modulandolo rispetto al contratto, ma allargato.

Ora Renzi dice: riscriviamo lo Statuto in nome dei precari.

Ed è abile politicamente a farlo. Anche perché la Cgil ha per lungo tempo abbandonato il tema dei diritti dei parasubordinati, dei diritti mutilati.

La segretaria Cgil Camusso sostiene quello che dice lei: riscriviamo lo Statuto per allargare i diritti ai precari, ma la critica ai sindacati resta quella di non rappresentarli più-

Il compito di rappresentanza del sindacato era molto importante ieri come oggi. Solo che oggi è più difficile: il lavoro è frammentato, non c’è più la fabbrica fordista. Ma proprio per questo è importante che il sindacato riesca a rappresentare tutti i lavoratori, anche e soprattutto quelli giovani e con meno diritti. I corpi intermedi in Italia hanno sempre evitato che il confitto sociale diventasse aspro. Dove i sindacati sono meno forti, penso alla Francia, il conflitto sociale si frantuma ma è molto più aspro e pericoloso.

Tornando all’articolo 18 per i giovani: il contratto a tutele progressive non lo prevedrebbe per i primi tre anni.

È un’ipotesi interessante a tre condizioni. Innanzitutto che sia un contratto unico e che cioè la sua introduzione si accompagni ad una drastica riduzione della altre 46 modalità co

ntrattuali esistenti. Ne bastano tre: part time o tempo determinato, interinale o stagionale e contratto unico a tutele crescenti che diventa tempo indeterminato. La seconda è che l’esclusione dell’articolo 18 sia limitata a soli due anni e non allungata con altri contratti a tempo determinato. E che, ultima condizione, l’articolo 18 torni ad essere quello che era: con la riforma Fornero e il licenziamento per ragioni economiche ha perso totalmente la sua ratio di argine alle discriminazioni verso i lavoratori.

Da segretario della Cgil lei firmò la riforma Dini. Cosa pensa dei pensionati col retributivo considerati privilegiati? Lei allora parlò spesso di diritti acquisiti.

Penso che considerare privilegiati anziani che hanno una pensione di 2.500 euro frutto del loro lavoro sia sbagliato: dietro quelle cifre c’è la fatica di un operaio turnista. Solidarietà è una parola straordinaria, ma se il contributo colpisce anche loro, in questo caso è usata a sproposito. C’è il problema esodati da risolvere? Lo ha creato il governo e il governo deve trovare una soluzione, senza colpire i pensionati. Cosa diversa è dire: sulle pensioni alte mettiamo un prelievo per permettere la rivalutazione delle basse. Questa è solidarietà.

A vent’anni di distanza cosa pensa di quella riforma?

Fu una buona riforma. Con un errore che a posteriori non si può più recuperare: la Cgil propose di applicare da subito il sistema contributivo pro-rata, ma le altre due confederazioni e il governo non furono d’accordo. Le distorsioni che ha provocato questa mancanza le stiamo pagando. Poi è arrivata la riforma Fornero che ha peggiorato sensibilmente le cose, specie per le donne: la parificazione dell’età è giusta ma andava accompagnata da protezioni per i lavori di cura e la maternità. Per i giovani invece serviva un intervento a tutela del lavoro discontinuo.

Come gran parte del Pd non si è ancora espresso sul referendum «Stop austerità». Cosa ne pensa?

Il contenuto è condivisibile. Non condivido lo strumento: il referendum è una specie di montagna da scalare. Accende il faro subito, poi lo spegne, l’argomento va in soffitta a lungo fra la raccolta delle firme e il voto. Credo che la via politica per modificare le regole in Italia e in Europa sia da privilegiare.