«Un’idea buona e affascinante che è progressivamente degenerata nel neoliberismo, uccisa da Renzi che ne ha fatto un partito centrista, lasciando ora a noi la grande sfida di ricostruire una sinistra che recuperi l’astensionismo». Sergio Cofferati ha completato «con pazienza» la sua convalescenza e torna alla politica attiva: «Fra qualche giorno andrò a Taranto con Massimo D’Alema: sarà divertente».

Cofferati, torniamo a 10 anni fa. Lei era uno dei 45 saggi che fecero nascere il Pd. Pentito?

No, l’idea alla base della nascita del Pd nel 2007 era buona e molto affascinante. In questi giorni ho letto che l’anniversario viene letto tutto in chiave politicistica, invece prevaleva la componente ideale e culturale: mettere assieme due storie diverse ma convergenti, quella del riformismo socialista e comunista e quella del cattolicesimo unendole con esperienze più recenti come l’ambientalismo e i movimenti. La matrice di sinistra era evidentissima: il riformismo che puntava all’uguaglianza. Fu un tentativo nobile che riproponeva valori antichi.

Lo Statuto del Pd però dava già un imprinting molto verticale: il partito degli elettori, le primarie. E in poco tempo si capì che la fusione fredda Ds-Margherita non poteva funzionare.

Lo Statuto aveva dei limiti inevitabili anche perché la discussione nella commissione fu intensa ma breve perché la contesa elettorale era vicina. Io sostengo che nel primo periodo la nascita del Pd portò dei risultati: la deriva della destra Berlusconiana venne rallentata e poi fermata.

Ma la «vocazione maggioritaria» lanciata da Veltroni non provocò la fine dell’Ulivo? Prodi all’Eliseo non è andato ma è dal Lingotto che iniziò ad allontanarsi dalla sua creatura.

Penso che Walter (Veltroni, ndr) insistette sulla vocazione maggioritaria in positivo. E solo dopo il concetto fu radicalizzato. Di certo invece la nascita del Pd oggettivamente portò ad una ridefinizione dell’Ulivo, ad un dialogo con le forze fuori del Pd basato su basi diverse. Ma non era scritto da nessuna parte che portasse alla sua cancellazione. Dopo qualche anno ha prevalso l’idea del «facciamo da soli».

Veltroni è stato molto applaudito quando ha detto che «il sogno di un elettore di sinistra è 24 ore senza divisioni» e che la storia della sinistra è fatta in sostanza di lotte personali. E’ d’accordo?

Attribuire le divisioni ai comportamenti dei singoli è ridicolo, un sotterfugio per nascondere la verità. In tutta la storia della sinistra le divisioni sono nate su questioni di merito, magari accentuate da comportamenti individuali.

Se il Jobs act lo fa Renzi o lo avesse fatto Pincopalla la sostanza non cambia: è una legge sbagliata perché nega i valori della sinistra, riduce i diritti dei lavoratori, individuali e collettivi. Questa è la ragione delle divisioni di oggi. C’è chi se n’è accorto prima e chi dopo, ma tutti quelli che se ne sono andati dal Pd l’hanno fatto per ragioni politiche.

La degenerazione del Pd è arrivata con Renzi o è stata progressiva?

E’ stata progressiva e Renzi l’ha accelerata. Le leggi Fornero su pensioni e lavoro non le ha fatte e nemmeno votate Renzi. Di fronte alla crisi economica, il Pd ha rinunciato a rappresentare i suoi valori fondativi e ha accettato scelte imposte in parte dall’Europa e in parte della finanza. Quelle rinunce e quegli errori con Renzi sono diventati linea politica: il neoliberismo è diventato la bussola.

[do action=”quote” autore=”Sergio Cofferati”]All’inizio la matrice di sinistra era evidentissima: il riformismo che puntava all’uguaglianza. Fu un tentativo nobile che riproponeva valori antichi[/do]

Renzi all’Eliseo ha detto: «Se non ci fosse stato il Pd, la sinistra italiana sarebbe irrilevante».

È un’affermazione priva di senso. Quando c’erano Ds e Margherita la sinistra non era irrilevante. Ma soprattutto oggi il Pd non è più di sinistra. Sia dal punto di vista delle politiche che propone – come il Jobs act, la Buona scuola, lo Sblocca Italia – che dal punto di vista dei criteri di gestione: le primarie ormai sono uno strumento che si usa a seconda delle convenienze. Dopo le primarie in Liguria in cui io denunciai brogli e accordi con la destra, fu cambiato il regolamento per Savona e poi non sono più state usate. Oggi se Renzi volesse veramente fare una coalizione per il Rosatellum dovrebbe proporre le primarie di coalizione. Ma non lo farà.

Fra dieci anni come se lo immagina il Pd? Esisterà ancora?

Fare previsioni nella politica italiana è particolarmente complicato. Dopo 10 anni il Pd non è più quello che molti avevano immaginato. E nessuno dei presidenti del Consiglio che lo avevano fatto nascere – Prodi, D’Alema, Letta – ne fa parte. Credo che il Pd finirà col rafforzare il suo profilo centrista: l’alleanza col centro – quella non dichiarata ma praticata perché Alfano e Verdini fanno parte della maggioranza – diventerà la regola.

Questo spostamento apre spazi a sinistra. La lista unica in costruzione sarà capace di coprirli?

E’ la grande sfida che abbiamo davanti. Dopo le Europee del 2014 i voti persi del Pd sono andati in parte al M5s, in piccola parte a sinistra, ma la stragrande maggioranza è finita nell’astensionismo. Dobbiamo dare una speranza a questo mondo vasto e variegato che in questi anni si è impoverito e ha meno tutele. La nostra priorità non è togliere voti al Pd – che li perderà da solo – ma recuperare chi non va più a votare.

Lei continua a definirsi un riformista. Cerchiamo di intenderci: considera riformismo quello proposto da Corbyn? E’ quella la strada per ridare speranza e riportare al voto il popolo di sinistra?

Certo. Corbyn è un riformista che propone un cambiamento radicale e necessario della società. Così come ha fatto – in un altro contesto – Sanders negli Stati Uniti. Il riformismo è avere obiettivi concreti per il cambiamento, radicalità nel prospettarli. Servono politiche per il lavoro e per nuovi diritti collettivi. Questa è la strada per la sinistra.