Mi chiamo Denis Roio, ma gli hacker mi conoscono meglio come Jaromil; sono cofondatore di Dyne.org ed alla guida dello sviluppo di molti software liberi e «open source» utili a proteggere la privacy, la libera espressione in rete ed anche per facilitare il riuso di computer più vecchi. Per me e per la mia organizzazione lo sviluppo di software ha l’obiettivo di creare strumenti che siano utili alla società e in controllo di tutti i partecipanti, rifiutando l’uso dominante di tecnologie per il controllo delle persone e per il profitto sfrenato nello sfruttamento dei nostri dati e della nostra attenzione.
Il software che facciamo è libero e open source per permetterne lo studio, la modifica e la redistribuzione da parte di comunità di adozione, per dare accesso ai saperi a chi vuol studiarne il codice, ma anche per dare modo di verificarne l’integrità delle operazioni eseguite, cosa importante specialmente quando si sviluppano componenti delicati da cui dipende a volte anche l’incolumità di chi li adotta.

DA QUASI DUE ANNI e mezzo sono coinvolto nel progetto Decode guidato dalla mia collega Francesca Bria, italiana assessora a Barcellona, il cui lavoro si è distinto nel mondo come esempio di innovazione etica e tecnologica nel campo dell’informatizzazione delle città. Decode è il progetto di ricerca più avanzato della Commissione Europea sui sistemi di autenticazione distribuiti (spesso chiamati «blockchain»), e coinvolge sia la città di Barcellona che quella di Amsterdam come piloti per validare e raffinare le nostre creazioni con il loro uso concreto.

LA MISSIONE DI DECODE è quella di garantire ai cittadini la sovranità sui propri dati, evitando che le multinazionali dell’informatica li estraggano e li mettano sul mercato per puro profitto. Vogliamo anche che i dati aggregati delle città, dati che hanno un grande valore per la fornitura di servizi distribuiti e l’analisi del territorio, siano accessibili a tutte le organizzazioni che vogliono farne uso in modo etico, secondo le preferenze dei partecipanti e le leggi che regolano il diritto alla privacy.
Il progetto Decode sta avendo un enorme successo: mentre sono alla guida tecnica del progetto ho la fortuna di coordinare team di grande eccellenza e sono riuscito con i miei colleghi a portare alla luce un nuovo software libero – Zenroom.org – che facilita il controllo, la protezione e l’autenticazione di flussi di dati negli ambiti più svariati, usando tecniche di crittografia avanzata. Questo software implementa il lavoro teorico matematico di colleghi e lo rende immediatamente fruibile a chiunque voglia adottarlo, primi fra tutti la municipalità di Amsterdam che lo usa per proteggere la privacy dei giovani obbligati ad identificarsi come maggiorenni in vari frangenti: grazie al nostro software possono farlo senza mostrare nessuna carta di identità e altri dati personali, neanche la data di nascita.

Come in molti sappiamo il successo porta attenzioni spesso anche indesiderate e fra queste abbiamo attirato l’interesse della più terribile fra le multinazionali che sfruttano il mercato dell’informazione mettendo l’integrità sociale e politica di un popolo alla mercé del capitale finanziario: sto parlando proprio di Facebook. La compagnia di Mark Zuckerberg, tra le più quotate dal mercato finanziario nonostante l’uso scandaloso che fa di dati e informazioni, ha offerto ad un team di miei colleghi di andare a lavorare per loro per implementare le stesse tecnologie ma al servizio di Facebook.
Più precisamente, Facebook ha pensato bene di cominciare a sviluppare un sistema di moneta crittografica a partire dalla nostra ricerca in Decode «acquisendo persone» che hanno lavorato con noi già per due anni pagati da soldi pubblici della Comunita’ Europea.

QUESTA FACCENDA ha sollevato un polverone: se ne è parlato un po’ ovunque ed ora mi torvo a destreggiarmi tra dichiarazioni imbarazzanti e spesso interpretazioni che travisano la realtà. Mi piacerebbe dunque chiarire tre punti:
1. Mi piace pensare che ognuno sia libero di fare le scelte che vuole nella vita, così anche i miei colleghi sono liberi di cambiare lavoro, a meno che le condizioni contrattuali non lo impediscano. Nel nostro caso non c’era nessun impedimento ed i nostri colleghi che ora lavorano per Facebook non ci hanno lasciato per strada, ma lo hanno fatto dopo aver già condiviso ottimi risultati per il progetto Decode.
2. Il sistema crittografico «Coconut» alla base anche del progetto Libracoin di Facebook è già in uno stato avanzato di implementazione ed uso nel software libero e open source Zenroom che abbiamo pubblicato con licenza Gnu.
3. Facebook non usa licenze Gnu perché costringerebbero la compagnia a pubblicare open source tutto ciò che fanno. Di fatto le licenze Gnu esistono per protegge gli artigiani del software libero dalle multinazionali che potrebbero sfruttarlo. È proprio per questo che Facebook ha proceduto ad acquisire personale invece che usare direttamente il nostro software.
Chiarito ciò vorrei condividere un ragionamento importante, perché fa molto male chi dice che il software libero ed open source è a vantaggio di aziende che si appropriano gratuitamente del nostro lavoro. Ciò non è vero! quella di Facebook è un’acquisizione di personale, perché la licenza Gnu è al contrario una forte protezione per la piccola e media impresa nel nostro ambito.

QUEL CHE DEVE far riflettere piuttosto è il problema delle porte girevoli (spesso citato come revolving doors dalla stampa inglese) che permette a personale chiave del settore pubblico di passare direttamente a quello privato e corporativo una volta finito il mandato o anche prima della sua fine: è il caso di molti dirigenti politici come il presidente europeo Barroso finito a lavorare per Goldman Sachs dopo il proprio mandato, o quello della ministra olandese Kroes passata dalla guida dell’agenda digitale della EU direttamente a fare consulenze per la Bank of America.
Spero dunque che questo episodio divenga spunto per una nuova legislazione in Europa che ponga fine a queste dinamiche e che stabilisca anche per la ricerca pubblica norme di non-concorrenza che sono già all’ordine del giorno per il settore privato.
Concludo confermando che il nostro progetto continua con successo per la realizzazione pratica dei principi di decentralizzazione, libertà ed autonomia che abbiamo sempre messo a fuoco nel nostro lavoro, al servizio di un’Europa dove spero la sorta di estrazione e monetizzazione di dati privati che Facebook intende operare non sarà mai una fonte di profitto lecita. Una tecnologia anche potente come quella che sviluppiamo non è mai buona o cattiva di per sè: dipende dall’uso che se ne fa e noi intendiamo farne un uso al servizio del bene sociale, non del profitto.