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Codice Antimafia, Pd in confusione. Grasso: «Non va cambiato»

Codice Antimafia, Pd in confusione. Grasso: «Non va cambiato»Il ministro Andrea Orlando

Giustizia La norma della discordia. Orfini: ha una forzatura. I dem votano sì poi si riscoprono garantisti. Renzi ha dubbi ma teme gli attacchi dell’M5S, difficile che la norma venga modificata

Pubblicato quasi 7 anni fa

Un patto per modificare il Codice Antimafia appena varato alla camera? «Se c’è non l’ho fatto io», giura il presidente del Pd Matteo Orfini. Ma poi, aggiunge stavolta «da parlamentare e da cittadino», in effetti in quella legge qualcosa non gli piace: «L’equiparazione tra corruzione e mafia è sbagliata. Quell’articolo di un testo, per il resto assolutamente positivo, è una forzatura, un cedimento a una visione giustizialista del diritto, abbastanza incompatibile con i principi a cui dovremmo ispirarci».

Il day after l’approvazione del Codice il Pd brancola nell’imbarazzo. Fra esultanze para5stelle e dissociazioni tardogarantiste. Il provvedimento non piaceva al segretario Renzi, ma la paura di essere passato per le armi dai grillini (che non l’hanno votato considerandola misura troppo blanda) ha avuto la meglio. E ha vinto la linea del ministro Andrea Orlando: è finita con il voto positivo alla camera (se il testo fosse tornato al senato non avrebbe ritrovato i voti, come ha ricordato in aula il responsabile giustizia Pd David Ermini) ma anche il sì all’ordine del giorno di Walter Verini che impegna il governo (a parole) a monitorare gli effetti della legge e eventualmente modificarne il punto più indigesto: l’equiparazione tra corrotti e mafiosi per quanto riguarda le misure di prevenzione. Che scattano prima delle sentenze definitive. Ma è solo un «equivoco», giura la ministra Anna Finocchiaro: «Non c’è alcuna equiparazione tra mafia e corruzione», la riforma «estende la possibilità del sequestro e della confisca dei beni ai casi in cui i reati contro la Pubblica amministrazione sono collegati a un’associazione criminale». Resta che «la legge andrà monitorata», «e sarà l’applicazione anche prudente che verrà fatta dai magistrati a consentire di verificare la sua efficacia». Insomma, la patata bollente passa ai magistrati. Non resta che affidarsi alle loro virtù cardinali: fare atto di fede insomma.

Per recuperare la faccia sul fronte garantista, ieri sull’house organ renziano Democratica campeggiava un editoriale che segnava «l’ora di un garantismo nuovo». Ma si guardava dal menzionare l’ultimo pasticcio della casa, il combinato fra il codice e l’odg che ne annuncia la modifica. Ma la modifica non ci sarà, secondo il tam tam di palazzo. Non le previsioni di Forza italia («La pubblica amministrazione andrà verso la paralisi»), ma neanche le critiche di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione in altri tempi considerato infallibile, sono riuscite a trattenere il Pd dalla rincorsa dei 5 stelle.

A ergersi a difesa del Codice è un ex magistrato, il presidente del senato Piero Grasso, che avverte: «Se si tratta di valutarne l’applicazione, nessun problema», «se però arriva un decreto che tra due settimane cambia la legge allora sarebbe un boomerang per le forze politiche che l’hanno approvata». La seconda carica dello Stato parla a Napoli alla festa di Mdp. «La norma è utile» e poi «era nel programma del Pd», ricorda. Sottolineando così ancora una volta l’ondivaghezza della linea dem.

Ma anche a casa Mdp c’è chi ha votato no. Lo ha fatto Danilo Leva, avvocato, garantista ed ex responsabile giustizia del Pd: «Assistiamo ad un inarrestabile declino giustizialista e securitario che travolge ogni più elementare garanzia difensiva», scrive su facebook, «equiparare i reati comuni ai reati di criminalità organizzata è indice di una regressione culturale» che fra l’altro va contro gli orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo. «L’estensione della confisca o delle altre misure di prevenzione agli indiziati di corruzione, peculato o addirittura di stalking risponde solo ad esigenze di propaganda», «purtroppo la classe dirigente di questo paese non riesce più a distinguere l’etica dal diritto», è l’amara conclusione, anche autocritica.

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