Riprende oggi al Senato il dibattito sul nuovo Codice antimafia, ormai in dirittura d’arrivo. Sono infatti già stati approvati 35 articoli su 36. Sarà la conferenza dei capigruppo, prima dell’apertura dell’aula, a fissare il voto finale.

Poi però la legge dovrà tornare alla Camera, dove era già stata approvata alla fine del 2015, e dunque ci sarà tempo per le polemiche, che sono molte e non partono solo dall’opposizione di destra.

Domenica a bocciare senza appello il provvedimento in discussione, in un’intervista al Mattino, è stato il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, e ieri dallo stesso quotidiano ha lanciato i suoi strali il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.

Prima di loro lo avevano già bollato altre personalità non sospette di mollezza con mafiosi e corrotti come il costituzionalista Sabino Cassese e l’ex presidente della Camera Luciano Violante.

La pietra dello scandalo è il sequestro preventivo dei beni degli accusati di reati contro la pubblica amministrazione. Un’estensione del provvedimento in vigore contro gli accusati di mafia che per Cantone «non è né utile né opportuna e rischia anzi di essere controproducente».

Cassese aveva definito l’allargamento del sequestro dei beni contrario alla Costituzione. Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione concorda. La legge, dice infatti Cantone, è controproducente perché «la legislazione antimafia ha retto di fronte ai dubbi di legittimità costituzionale proprio per il suo carattere eccezionale e per essere rivolta a organizzazioni pericolose».

Il Senato, nel tentativo di aggirare le critiche, ha in realtà modificato il testo della Camera condizionando il sequestro preventivo all’ipotesi di associazione per delinquere, secondo l’indicazione del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Per Cantone, però, la garanzia è insufficiente sia perché comunque basterebbero «meri indizi» per disporre il sequestro, sia perché, in assenza dell’associazione, non si potrebbero sequestrare i beni di grandi corrotti però non «associati».

Boccia è a sua volta durissimo. Accusa la legge in discussione, sostenuta a spada tratta dalle associazioni antimafia, da Libera e dalla presidente della commissione Rosi Bindi, di essere dettata dall’ «ansia di accontentare chi urla di più» con l’intento di «assecondare istanze emotive se non calcoli puramente elettoralistici».

Eppure proprio il movimento più affine a «chi urla di più», quello di Grillo, non apprezza affatto il nuovo Codice. «E’ uno scandalo. Non va approvato ma combattuto in tutti i modi», annuncia Fico.