Come da previsioni, conclusione unitaria al congresso della Linke di fine settimana. Ad Amburgo i delegati hanno approvato a larghissima maggioranza la versione definitiva del programma con il quale il principale partito tedesco di opposizione si presenterà alle elezioni europee del prossimo 25 maggio. Nessuna divisione fra «realisti» e «radicali», tra i «pragmatici» delle federazioni della Germania orientale e i seguaci di Sahra Wagenknecht, più forti all’Ovest. Equilibrio anche nelle candidature: nei primi sei posti della lista, le due anime dell’organizzazione sono equamente rappresentate.

Il pomo della discordia nel dibattito precongressuale era stato il preambolo del programma, che definiva l’Unione europea «una potenza antidemocratica, neoliberale e militarista»: una formulazione indigesta per la corrente «moderata» che fa riferimento al capogruppo al Bundestag Gregor Gysi e alla co-segretaria Katja Kipping. Nel testo definitivo, quello e altri passaggi simili non ci sono più, ed è più chiara l’idea – come afferma la stessa Kipping in un’intervista al progressista die taz – che la Linke non vuole la fine dell’Ue, ma il suo cambiamento: «Nella Ue si nasconde anche un enorme potenziale», cioè la chance di intervenire a livello continentale per «regolare l’attività delle banche, limitare l’orario di lavoro o impedire l’export di armamenti».

Per la Linke, la volontà di sfruttare le possibilità dell’azione politica europea non è in contraddizione con la dura critica della «Ue reale»: «le decisioni fondamentali sono assunte in maniera non democratica» sostiene Kipping, richiamando le tesi sostenute negli ultimi anni dall’illustre filosofo (e da sempre elettore socialdemocratico) Jürgen Habermas. L’importante – è il messaggio del congresso – è che non si confonda il «no» a questa Ue con il desiderio di tornare alla dimensione esclusivamente nazionale della politica: «Non possiamo difendere diritti e standard sociali a livello nazionale, se non agiamo contemporaneamente sul piano internazionale, europeo», ha affermato nel suo intervento la capolista designata, la 58enne eurodeputata (e capogruppo del Gue) Gabi Zimmer.

Non c’è stato l’atteso discorso di Alexis Tsipras, impossibilitato a partecipare. A farne le veci la spagnola Maite Mola – europarlamentare uscente e vicepresidente del Partito della Sinistra europea (Se), che candida il leader greco a presidente della Commissione di Bruxelles – che ha messo in evidenza «recenti esempi del collasso del modello di Ue nato a Maastricht nel 1992», fra i quali la bocciatura della troika da parte della commissione lavoro e affari sociali dell’Europarlamento, «l’inefficienza e la lentezza delle attuali istituzioni europee nella gestione della crisi», e l’inconsistenza Ue sui rivolgimenti in Ucraina. Mola, dopo aver ringraziato la Linke per il sostegno all’opposizione iberica nella lotta contro la destra reazionaria del premier Rajoy – ha ricordato l’appuntamento del 10 aprile, quando a Bruxelles la Se darà vita ad una «conferenza sul debito», per illustrare una strategia anti-crisi diversa da quella voluta da Angela Merkel e messa in pratica dalle ubbidienti istituzioni Ue. Con gli effetti che sappiamo: aumento della disoccupazione, impoverimento, crescita delle diseguaglianze. E debito pubblico, in Spagna come in Grecia, tutt’altro che sotto controllo.