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Cocaina e migranti: in Niger un’economia «trafficante»

Cocaina e migranti: in Niger un’economia «trafficante»Migranti in Niger – Getty Images

Un altro golpe Il business che tiene in piedi il paese è fatto di traffico di droga e tratta di esseri umani, gestiti da poliziotti e politici corrotti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 luglio 2023

«Il Niger è al 90% musulmano e al 10% cocaina». Sono stato accolto con questa battuta nel 2015, quando sbarcai a Niamey come consigliere politico della missione EUCAP Sahel Niger, incaricata di formare le locali forze di polizia.

Da Fortezza Bastiani delle missioni civili Ue – per me era una destinazione di “decantazione” dopo quattro anni passati a Kabul a occuparmi della partecipazione europea alle presidenziali afghane del 2014 – EUCAP divenne la più importante nel giro di poche settimane, a causa dell’esplosione del dossier migratorio. Sì, perché non è solo la cocaina sudamericana a passare dal Niger per raggiungere l’Europa: la stragrande maggioranza di coloro che si imbarcano sulle coste algerine, tunisine, libiche ha avuto nel Niger la tappa intermedia del proprio calvario.

L’ECONOMIA del Niger, all’epoca della mia permanenza il più povero paese del mondo, è costituita dal traffico di droga e migranti, dagli aiuti internazionali e da un rimasuglio di economia legale soffocato dall’euro. Già, perché il succedaneo del franco Cfa è pur sempre agganciato alla nostra moneta: nemmeno l’Italia riesce a gestirne la sopravvalutazione, figuriamoci il Niger.

Il paese, così, perde l’unico, triste vantaggio competitivo che potrebbe vantare, il basso «costo» dei propri lavoratori. I nigerini, peraltro, non emigrano: troppo poveri per poterlo prendere in considerazione.

Ci sarebbe il settore minerario – uranio e oro, essenzialmente – ma il primo è gestito dal monopolista francese Orano (ex Areva), che ha i propri aeroporti e costituisce uno Stato nello Stato, e il secondo è attività di banditi, come e peggio del Klondike.

Il Niger vivrebbe, economicamente, lungo un asse est-ovest, parallelo al grande fiume che gli dà il nome e che lo collega al Mali e alla Nigeria: ma la statale N1 era, e presumo sia tuttora, in uno stato pietoso. L’Unione europea, invece di finanziare questo asse, stava pianificando la costruzione di un asse sud-nord, da affidare a ditte europee, asse che renderà le attività criminali immensamente più agevoli.

La famiglia del deposto presidente, per capirci, gestiva i traffici in prima persona, essendo proprietaria della linea di autobus che trasporta i migranti entrati illegalmente nel territorio nigerino. I migranti entrano illegalmente, non clandestinamente, si badi bene: a ogni posto di frontiera ci sono due file, una per chi è in regola, e una per coloro che non lo sono, che vengono taglieggiati con tariffari distinti per lingua e passaporto dalle forze di polizia, che tengono una contabilità rigorosa delle mazzette, visto che i redditi dell’intera catena gerarchica dipendono da questi cespiti a dagli altri viatici raccolti quattro o cinque volte lungo il cammino verso il nord.

QUESTO CAMMINO, Niamey-Agadez-nord è di circa duemila chilometri, con Agadez nel bel mezzo, ed è quasi tutto fatto di deserto. Un deserto in cui i morti sono almeno altrettanti di quelli reclamati dal Canale di Sicilia. Ogni singolo migrante entra illegalmente in Niger e ogni singolo migrante è taglieggiato.

Il sud del Niger, che è zona relativamente verde e urbanizzata, è il posto giusto in cui recidere questo infame traffico. Ma chi lo vuole? Non certo l’Ue, che ha nell’esercito di riserva africano il proprio – assurdo – atout nella «global competition». Il deposto presidente nemmeno, per ovvi motivi.

Il sottoproletariato nigerino, peraltro, segue una miriade di predicatori di strada ed è pronto, da anni, ad affidarsi alla versione locale dei Fratelli musulmani, che prima o poi gli Stati uniti riusciranno a esportare anche in questo sventurato paese.

*ex consigliere politico della missione EUCAP Sahel Niger

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