È passato un po’ troppo sotto silenzio il rapporto sulla ricchezza mondale (e sulla sua distribuzione) che il Credit Suisse ha rilasciato l’anno passato.

Un po’ di dati: la ricchezza tra il 2012 e il 2013 è aumentata del 4,9% e nel mondo ha raggiunto 241mila miliardi di dollari. In Italia scopriamo che ci sono 29 milioni di persone che detengono una ricchezza di più di 100mila dollari e oltre un milione e mezzo che hanno “in banca” più di un milione di dollari. In Europa ci sono 338.648 persone che hanno tra i 10 e i 50 milioni; 20.269 persone che detengono tra i 50 e i 100milioni di dollari; 10.024 persone che hanno tra 100 e 500 milioni; 650 persone che hanno tra 500 milioni e un miliardo di dollari e 411 iper-ricchi che dispongono di una ricchezza di più di un miliardo di dollari.

La nostra non è una crisi ma una gigantesca disuguaglianza sociale, frutto del drammatico rovesciamento di forze che i lavoratori hanno subito negli ultimi decenni, nei quali abbiamo assistito a una devastante contro-offensiva sul piano della conquista dei diritti, dell’uguaglianza, della fraternità (o della solidarietà). Non è una contro-offensiva che ha colpito “la sinistra”, ma le condizioni materiali di vita di tanta parte del mondo che la sinistra nel secolo scorso era riuscita a migliorare.

Una controffensiva non del berlusconismo o del renzismo che sono degli epifenomeni. Ma di quella piccola parte della popolazione mondiale che è sempre esistita e ha sempre (seppur in diverse misure) detenuto potere e ricchezza, entrambi costruiti sulla pelle e spesso sul sangue del resto della popolazione mondiale. E che ha sempre lavorato, con ogni mezzo, compreso il favorire l’astensionismo qui e altrove, perché il manovratore fosse il meno possibile disturbato

Per questo c’è bisogno, qui e ora, di un percorso di lavoro pratico, concreto e quotidiano per il progresso delle condizioni di vita delle persone. Non manca peraltro chi già lo fa egregiamente, le associazioni come l’Arci, Emergency, Libera e tante altre meno note ma non meno efficaci, o i gruppi di persone che ragionano sulla necessità di una nuova Europa, come gli economisti che hanno firmato l’appello per una nuova Bretton Woods. Giusto dunque coinvolgere chi già oggi lavora, concretamente, all’estensione di diritti e alla costruzione di nuove forme di fratellanza (o solidarietà, o mutualismo che dir si voglia) per costruire un programma pratico e di lavoro efficace, ma il coinvolgimento deve portare a un programma politico.

Da Voltaire a Gramsci fino alla Teologia della Liberazione non mancano certo le basi teoriche. Sarebbe utile aggiornarle alla luce delle nuove conquiste dell’etologia, da Lorenz passando per Goffman per finire a Bateson, che ci aiutano a dire che diritti, fratellanza, redistribuzione della ricchezza sono specie-specifiche e indispensabili alla permanenza dell’essere umano sul pianeta terra. Non sono le “basi” che mancano per dire che il progresso dell’umanità non sono gli iPhone, ma uguaglianza e diritti per tutti.

Non possiamo imitare Syriza e nemmeno Podemos, ma possiamo e dobbiamo imparare a dire cose semplici: riprenderci la ricchezza concentrata in poche mani, e riconquistare diritti.

C’è bisogno di confrontarsi con la realtà, costruire un progetto concreto che metta insieme le competenze e le idealità necessarie a migliorare la vita di tutti. Perché dannatamente concreta è la forza di chi sottrae le nostre ricchezze e le concentra in poche mani rendendo concretissima la disperazione di molti. E concreti sono i segnali che ci dicono che il tempo è scaduto. E che o si costruisce una prospettiva di vita migliore riappropriandoci di ciò che è nostro oppure vincerà chi sta spiegando che il nemico è proprio quello lì di fianco a te, quello che lotta per la sopravvivenza come te. Ma per tutti e due non c’è posto.

Nessuno, in questo processo, ha diritti da vantare, nessuno può essere egemone, nessuno può dettare la linea. Tutti invece abbiamo il dovere di metterci, insieme, al servizio di una necessità non più rinviabile: quella di trovare il modo di ridistribuire la ricchezza se davvero teniamo al futuro, non solo del nostro Paese. Si può fare?