«Cominciamo un percorso assai più difficile e ambizioso della creazione di un partitino». Dei cinque promotori della manifestazione di ieri, Stefano Rodotà è il più capace di un discorso schiettamente politico, non a caso è l’unico che è stato in parlamento, 13 anni, e che ha rischiato di diventare presidente della Repubblica. Tocca a lui chiudere il lungo pomeriggio di interventi dal palco di piazza del Popolo, e rispondere alla domanda che il successo della giornata rilancia. Che strada prenderà, adesso, la via maestra? Non quella di una nuova forza organizzata, come hanno sospettato in molti, il più esplicito Violante – «pensa al partitone di cui fai parte», è la replica del professore – ma nemmeno quella del tutti a casa.

Una «coalizione dei vincenti» è la formula incoraggiante coniata da Rodotà, capace cioè di mettere assieme tutte quelle battaglie che hanno avuto successo nel nome della Costituzione. Esempi anche diversi: il referendum sull’acqua pubblica, il referendum comunale sulla scuola di Bologna, l’assunzione delle maestre precarie a Napoli in violazione del patto di stabilità e la sentenza della Consulta sui rappresentanti sindacali della Fiom. Si tratta di provare a «fare massa critica e rinnovare la politica attraverso la Costituzione». Si rischia un po’ il semplice «non perdiamoci di vista», senonché c’è un’urgenza utile a evitarlo. Tra martedì e mercoledì di questa settimana il senato pianterà un altro chiodo, il penultimo, sulla cassa dell’articolo 138. Entro natale la procedura di revisione costituzionale potrebbe essere stravolta, spalancando la porta a un numero assai elevato di riforme («a grappolo», spiega il costituzionalista Alessandro Pace) approvate senza le garanzie previste dal ’48. Ecco allora che Rodotà indica alla piazza un obiettivo immediato, difficile, e uno un po’ più lontano, ma probabilmente meno arduo.

«Chiediamo alle camere di non approvare la deroga al 138 con i due terzi, in modo da consentire il referendum confermativo. Il successo della nostra manifestazione può dare coraggio a un numero sufficiente di parlamentari». È il primo obiettivo, per il quale gli occhi sono puntati sui senatori, visto che alla camera i numeri non consentono fantasie. Acquisito il no di Sel, e dei grillini, non c’è però troppo da sperare nel Pd, che in prima lettura ha contato solo due dissidenti e che è rimasto lontano dalla manifestazione, con poche e non senatoriali eccezioni. La sorpresa potrebbe però venire dall’altra parte, dove la fazione lealista dei berlusconiani è composta da presidenzialisti convinti che non hanno apprezzato il compromesso proposto dalla commissione governativa dei saggi. E che soprattutto non vedono l’ora di dare un colpo che sarebbe quasi mortale al governo di Alfano e, nello specifico, Quagliariello. E in Fitto e Gasparri e in una quarantina di diserzioni da destra che si può paradossalmente sperare perché si apra la strada al referendum. Difficile, ma c’è il secondo obiettivo: i referendum confermativi sul merito delle riforme che prima o poi (entro 18 mesi secondo il governo) potrebbero essere approvate. Referendum senza quorum, dove si può ripetere il successo del 2006 dei comitati «Salviamo la Costituzione» contro le riforme di Berlusconi e Calderoli.

La partita si giocherà lì, con tutti i rischi del caso. Perché aver individuato nella Costituzione un’arma di battaglia significa non riconoscerla più – ma è solo una constatazione onesta – come un terreno condiviso. Perdere significherebbe perdere tutto, e allora ecco la strategia includente. La Fiom di Landini assieme all’invito alla moderazione di Zagrebelsky. No ai partiti sul palco, per sfuggire all’accusa di voler replicare il modello Ingroia, ma politici benvenuti in piazza e nel sottopalco: Vendola e molta Sel, Rifondazione, i Comunisti italiani, Di Pietro fotografato con lo striscione di apertura, i pochi democratici (Vita, Cofferati, Civati), e anche Ingroia. Il campo di gioco è quello dell’opposizione alle larghe intese. Rodotà lo delimita con un affondo su Letta: «Vorrei che usasse parole di verità e la smettesse con la denigrazione e il terrorismo ideologico». Nell’opposizione ci sono anche i grillini, assai scarsi ieri in una piazza decisamente favorevole all’abolizione della Bossi-Fini. E quelli che limitano la difesa della Costituzione alle disgrazie di Berlusconi. Il messaggio di Napolitano per l’amnistia, che pure offrirebbe materia ai costituzionalisti, è stato così lasciato cadere, lo ha nominato solo Salvatore Settis, per respingerlo. Invece Lorenza Carlassare, Landini e Luigi Ciotti hanno citato la indegna condizione delle carceri come una precisa violazione costituzionale. Prima di cantare tutti «Bella ciao».