Il Santo, alla vigilia della tradizionale processione, regala il miracolo. Arturo Lorenzoni, Coalizione Civica e il popolo degli arancioni sfiorano il ballottaggio e con il 23% dei consensi rappresentano davvero la città che merita di girare pagina. È ancora Padova «laboratorio politico» quella che esce dalle urne. Spicca il tonfo di partecipazione: 61,5%, quasi 10 punti in meno rispetto al 2014. Altrettanto incontestabile il successo al primo turno del leghista Massimo Bitonci con il 40%. Così come il flop della «santa alleanza» di Sergio Giordani: poco più del 29%, nella coalizione fra ex An, ex Fi, Pd e nostalgici di Zanonato.

Adesso tocca all’assemblea di Coalizione Civica decidere sull’apparentamento con Giordani. Matematicamente vincente, eppure è un bel rospo da ingoiare alla luce delle identità politiche. Tant’è che il voto utile del 25 giugno cozza già con l’idea di rifiutare tutte le poltrone in giunta con gli eredi dell’ultimo ventennio. E i numeri dei candidati consiglieri sono limpidissimi: Marta Nalin di Si 633; la giovane avvocata Chiara Gallani 594; il leader di Padova2020 Nicola Rampazzo 526; il pediatra ambientalista Roberto Marinello 519, uno in più di Daniela Ruffini (Prc). Perfino la lista civica di Lorenzoni registra l’exploit di Francesca Benciolini (623) ai danni soprattutto degli ex Pd.

«Il brillante risultato di Coalizione Civica è il frutto di una grande attenzione alla costruzione della squadra e di una comunicazione focalizzata, costante, misurata e attenta alle persone. La bella sobrietà di Lorenzoni è stata convincente. Un’idea alternativa, più che ideologica, di Padova che si è riconosciuta anche nella gente che gremiva venerdì sera piazza Eremitani» analizza Giampietro Vecchiato, professore di Relazioni pubbliche.

Padova arancione non è il clone di Pisapia o De Magistris. Anzi. Il candidato è vincolato dal mandato collettivo. Tutti hanno rinunciato all’appartenenza: niente simboli di partito né sigle di riferimento. Ciascuno partecipa in una sorta di catena di sant’Antonio che sfugge ai king maker di Palazzo. Così a 50 anni Lorenzoni tiene insieme mondo cattolico e sinistra vera, giovani e professionisti, attivisti «eco» e volontari dell’accoglienza, maestre e studenti universitari. Lui ci ha messo la faccia perbene da professore associato di Economia dell’energia, rugbista cresciuto nel centro giovanile dei Gesuiti, maturità classica al Tito Livio e ricercatore alla Bocconi dopo la laurea in Ingegneria al Bo, sposato con la commercialista Anna e con tre figli. Coalizione Civica vanta 1.847 padovani che hanno firmato l’appello, convinti dal proverbio africano che «se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante». I «militanti arancioni» sono certo responsabili sull’esito della sfida alla Lega, ma tutt’altro che ingenui nei confronti dei professionisti della politica che curano Giordani.

Del resto, le urne di Padova hanno scompaginato i giochi. Non solo perché M5S raccoglie poco più di 5 mila voti (5,2%) o l’ex berlusconiano Rocco Bordin convertitosi tosiano vale lo 0,56%. I calcoli tradizionali sono infatti saltati clamorosamente. Bitonci con la sua lista è il primo partito e Lega Nord passa da 5.237 voti a oltre 5.800.

E se FI dimezza i consensi (meno del 4%), il Pd non è da meno: dei 26.700 voti del 2014 ne sono rimasti 12.028. Per di più l’inedita rosa rossa del bersaniano Zanonato con gli irriducibili socialisti pesa 1.335 voti: più che marginali, perfino in vista del ballottaggio.