Quanto ci costa il Parlamento Europeo in termini di emissioni di gas a effetto serra? Quanto incidono sul clima le sue attività? La domanda non sembri capziosa, né intrisa di anti-politica: da un’istituzione che ha dichiarato l’emergenza climatica nel novembre scorso, che dichiara di voler diventare carbon-neutral, cioè a emissioni zero, entro il 2050 e che si picca di avere una legislazione ambientale all’avanguardia, ci si aspetta il buon esempio e buone pratiche. Dall’analisi della carbon footprint del Parlamento europeo, curata da Georgios Amanatidis e Srdan Randic, emergono luci e ombre, primati come lungaggini, e qualche contraddizione.

LO STUDIO, RICHIESTO DALLA COMMISSIONE ambiente (Envi) che vorrebbe anticipare il traguardo emissioni zero al 2030, è stato condotto con la metodologia Bilan Carbone, sviluppata da Ademe, l’Agenzia francese per ambiente e l’energia. Tenendo in considerazione tutte le attività dell’organizzazione (personale, energia, riscaldamento, gestione del patrimonio, materie prime, cibo, missioni, ecc.) si calcolano le emissioni relative di ciascuna. La somma per il Parlamento europeo fa 110.570 tonnellate di CO2-eq (l’anno è il 2018). Se volessimo applicare il carbon pricing al Parlamento europeo, secondo la proposta della campagna Stop global warming, il gettito sarebbe di 5,5 milioni di euro l’anno per il 2020, per salire a 11 milioni nel 2025. Un salasso che imporrebbe un’accelerazione degli investimenti verso beni, servizi e una macchina organizzativa più sostenibili. Anche considerando che fino ad ora il Parlamento europeo ha scelto di compensare le sue emissioni non azzerabili, e dichiararsi quindi già carbon neutral nel 2016, grazie a tre progetti finanziati in Malawi, Uganda e Ghana del modesto valore di 209.252 euro.

A PESARE MAGGIORMENTE SULL’IMPRONTA DI CARBONIO del Parlamento europeo sono i viaggi, che valgono il 67% delle emissioni di CO2 (di queste, il 19% per i viaggi degli europarlamentari, il 15% per gli spostamenti dello staff, cioè commissioni, delegati, gruppi politici e il 33% per altri viaggi/visite in conto spese del Parlamento europeo) seguiti dall’energia consumata (14%), dall’uso di beni patrimoniali (12%), dall’acquisto di beni e servizi (6%) e da rifiuti e altro (1%).

QUANDO SI DICE PARLAMENTO EUROPEO ci si riferisce all’insieme delle strutture dove si svolgono le attività istituzionali. I trattati stabiliscono la sede dell’Europarlamento a Strasburgo, dove si svolgono le plenarie, e individuano come «luoghi di lavoro» Bruxelles, sede delle commissioni, e Lussemburgo, dove lavora una parte del segretariato. Questa triangolazione non fa che accrescere il numero di spostamenti, oltre a rendere non facile la vita dello staff. Più volte il Parlamento europeo ha espresso una preferenza per una sede unica, per considerazioni pratiche, economiche ed ambientali. Però, per modificare questo assetto è necessario rivedere i trattati, ovvero ci vuole un voto all’unanimità nel Consiglio.

LA CORTE DEI CONTI HA STIMATO CHE IL TRASFERIMENTO da Strasburgo a Bruxelles potrebbe far risparmiare 114 milioni di euro all’anno, oltre al recupero di ulteriori 616 milioni, qualora gli immobili di Strasburgo venissero disinvestiti. Naturalmente, nel calcolo delle emissioni non sono comprese quelle generate dal flusso ulteriore di persone che si sposta da Bruxelles a Strasburgo per ogni plenaria parlamentare (giornalisti, lobbisti, staff della Commissione, del Consiglio, ecc.).

Qualche miglioramento nel bilancio ambientale del Parlamento europeo c’è stato. Le emissioni di CO2 sono diminuite nel 2018 del 37,7% rispetto al 2006, se calcolate per unità di personale a tempo pieno. Come è stato possibile? Grazie ad una maggiore efficienza energetica (pompe di calore e uso rinnovabili +20%); incrementando l’uso dei treni ad alta velocità tra Bruxelles e Strasburgo (distanti 430 km) invece dell’aereo; con progetti di mobilità per il personale, per esempio con contributi per il trasporto pubblico, con la messa a disposizione di parcheggi e stazioni di ricarica per le auto-elettriche, con il rinnovo della flotta e l’acquisto non solo di auto elettriche ed ibride, ma anche di biciclette tradizionali ed elettriche. Debole invece il Parlamento europeo sul fronte degli acquisti verdi (Green Public Procurement), cioè beni e servizi con le migliori prestazioni ambientali che rappresentano solo il 44,9% delle forniture (del resto nemmeno obbligatorie, come invece lo sono per le pubbliche amministrazioni degli stati membri), con l’obiettivo poco realistico di arrivare al 90% nel 2024.

DALL’ESAME DEL SUO CARBON FOOTPRINT, il Parlamento europeo ora sa in quali settori può agire per ridurre le sue emissioni se intende raggiungere l’obiettivo della neutralità (compensazioni a parte). Lo studio suggerisce, nel breve periodo, un drastico taglio alle visite organizzate nelle sue sedi che possono essere sostituite da tour virtuali e presentazioni organizzate dai suoi uffici di collegamento nei paesi membri, con evidenti risparmi economici da impiegare, magari, per l’efficientamento energetico dei suoi edifici. Un taglio alle emissioni si può dare anche invitando il personale ad un cambio di stile di vita per quanto riguarda sia gli spostamenti casa-lavoro, rimborsando il 100% del costo dei trasporti pubblici e togliendo la possibilità di posteggiare gratuitamente, vietando gli spostamenti aerei quando sia disponibile in alternativa un viaggio in treno fino a 5 ore. Anche la formazione del personale sull’uso dell’energia elettrica e la riduzione della carne rossa nei menu delle mense sono nella lista delle buone pratiche da introdurre.

Nel medio termine, il Parlamento europeo potrebbe darsi un tetto di emissioni da non superare, in linea con l’accordo di Parigi sul clima, quindi in qualche modo porre un limite alle sue attività impattanti sull’ambiente, oltre a investire in forme di telelavoro già ampiamente sperimentate durante l’emergenza coronavirus. Nel lungo termine, invece, dovrebbe investire in edifici a zero emissioni, che producano più energie rinnovabili di quanta ne consumino (come prescritto nella direttiva 2018/844), e applicare una carbon tax alle sue attività più inquinanti. E vedere l’effetto che fa.