Fuori il Ccs dal Recovery Plan. Quello che era uno slogan si è trasformato in realtà. Il progetto di Eni di immagazzinare tonnellate e tonnellate di anidride carbonica sotto il mare al largo di Ravenna non sarà finanziato con soldi europei.

La presenza del Ccs – acronimo di Carbon Capture and Storage, cattura e stoccaggio della Co2 – è infatti sparita dall’ultima versione del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr). Un risultato che il mondo ambientalista ed ecologista festeggia. Tenendo però alta la guardia per evitare possibili ribaltoni dell’ultimo minuto. Perché l’Italia ha tempo fino a febbraio per ritoccare la lista dei progetti che saranno finanziati dall’Ue.

LE CARTE, ALMENO PER IL MOMENTO, parlano chiaro: il progetto contestato da più parti – il mondo green, ma anche alcuni scienziati di rilievo come Vincenzo Balzani – non riceverà soldi pubblici. Merito dei 5 Stelle, che dichiarano di avere esplicitamente chiesto e ottenuto lo stralcio del Ccs. «Lo rivendichiamo con orgoglio – dice Giovanni Vianello, portavoce del M5s in commissione Ambiente alla Camera. «Il Paese ha altre priorità d’investimento in questa fase ed è tutt’altro che dimostrata l’efficacia e la sicurezza di questa tecnologia».

MERITO ANCHE DELLE PRESSIONI della galassia ambientalista ed ecologista, che il Ccs l’ha sempre visto come fumo negli occhi. Perché sarebbe solo un escamotage, questa l’argomentazione di chi dice «no», per continuare a produrre gas serra limitandosi a nascondere l’anidride carbonica sotto il mare, in una sorta di maxi discarica sotterranea lontana dagli occhi di tutti. «La C02 bisogna smetterla di produrla, non metterla sotto al tappeto», hanno ripetuto più volte i contrari al progetto di Eni.

L’ESCLUSIONE DEL CCS DAL RECOVERY è «una correzione di rotta da apprezzare», ha dichiarato l’ong Greenpeace, promettendo però di voler continuare a chiedere a Eni «di abbandonare gli investimenti per l’estrazione di idrocarburi». A promettere vigilanza, e se servirà anche una manifestazione con migliaia di persone a Ravenna, è invece la campagna «Il futuro non si Tocca-No Ccs». Una sigla che ha messo assieme Fridays For Future Italia, la Rete per l’emergenza climatica e ambientale dell’Emilia Romagna e oltre 100 realtà e sigle da tutto il resto d’Italia.
Il perché di un allarme che non è ancora rientrato è presto detto.

ANCHE SE IL PROGETTO FINIRA’ FUORI dalle linee di finanziamento europeo, potrebbe concretizzarsi lo stesso e trasformare Ravenna nella sede del più grande impianto di stoccaggio di C02 al mondo. Eni ha infatti dichiarato di attendere «la conclusione degli iter autorizzativi» per dare vita a quello che sarà uno degli assett su cui più conta l’amministratore delegato Claudio Descalzi. Obiettivo abbattere il più possibile le emissioni, quanto meno sulla carta, e spingere sulla produzione di idrogeno blu, cioè idrogeno prodotto attraverso la combustione del gas naturale. Tenendo quindi le fonti fossili al centro del processo produttivo, invece di metterle fuori gioco da subito come chiedono gli ecologisti. Come si potrebbe fare? Grazie alle opportunità dell’idrogeno verde, cioè prodotto a partire dall’eolico e dal solare.

NEL CASO DELL’IDROGENO I COLORI non sono sfumature. Nell’idea di Eni la CO2, generata come scarto del processo che porta all’idrogeno blu, sarebbe catturata, immagazzinata e sotterrata nei depositi di gas in via di esaurimento al largo della costa ravennate. Una tecnica giudicata da più parti un palliativo potenzialmente rischioso, molto costoso in rapporto ai risultati e ai benefici sull’ambiente, e che trascura tra l’altro la dispersione del gas naturale lungo tutta la filiera.

MA E’ POSSIBILE UN RITORNO DEL CCS nel Recovery Plan? Nel Pd c’è chi non lo esclude. E’ il caso del senatore Salvatore Tomaselli, scelto da Nicola Zingaretti per guidare il dipartimento politiche energetiche del partito. «Magari non finanziato tout court, ma mi auguro che il progetto di Eni possa tornare nel Recovery per beneficiare di finanziamenti pubblici capaci di creare un effetto moltiplicatore», spiega Tomaselli. «So che il mondo ambientalista ha perplessità, ma chi deve scegliere deve creare condizioni di cambiamento praticabili. Il Ccs può essere un tassello nella transizione per arrivare alla decarbonizzazione. E’ su questo obiettivo finale che bisogna trovare un consenso condiviso».

LA QUESTIONE RESTA QUINDI apertissima. A Ravenna il sindaco, il dem Michele De Pascale, ha già preso posizione a favore del Ccs. Così si sono espressi anche i sindacati che difendono i posti di lavoro e sperano che il progetto Eni possa salvarne un settore da tempo in declino. Cgil, Cisl e Uil hanno espresso preoccupazione per l’esclusione del Ccs dal Recovery, bollando come «schizofrenico» il comportamento del governo che solo pochi mesi fa quello stesso progetto l’aveva presentato come un esempio di innovazione». E ancora: «Una politica seria e lungimirante protegge le eccellenze, non le distrugge», hanno scritto in un comunicato le tre sigle sindacali.

A RAVENNA PERO’ C’E’ ANCHE CHI la pensa diversamente. «Sappiamo bene che la vecchia logica che sostiene le fonti energetiche fossili ha un forte radicamento – scrive la campagna Per il Clima-Fuori dal Fossile – Per questo siamo contrari al maxi impianto di stoccaggio di Eni. Un progetto che non risponde alle esigenze climatiche, ma che anzi finisce inevitabilmente per tenere ancora in vita il fossile».