Sembra un invito quello dei C’mon Tigre per un viaggio attraverso il mondo, il loro, fatto d’incontri, sperimentazioni e condivisioni. Intorno al duo bolognese si muove una pluralità di musicisti che attraverso un dialogo aperto tra chitarre, fiati, percussioni e synth creano ambientazioni sonore inedite. Dal calore del bacino del Mediterraneo il collettivo dei C’mon Tigre si sposta su una linea di viaggio sonoro unico nel suo genere incrociando il jazz, la musica da club, l’hip hop, il funk per spingersi verso un’esplorazione sempre aperta. Abbiamo incontrato i C’mon Tigre a Corigliano d’Otranto (Le) per il loro concerto presentato all’interno del SEI-Sud Est Indipendente Festival.

Come nasce il progetto dei C’mon Tigre e qual è l’origine del nome?
L’origine del nome è curiosa perché nasce da quei deliri da jet lag. Era un periodo in cui si viaggiava molto ed è nato di notte, non so se si può chiamare visione però c’era una fascinazione per la parola tigre e per quello che rappresenta, è un animale dalle mille sfumature. Non dormendo è saltata fuori questa specie di cantilena che è diventata per noi un rituale, C’mon Tigre, infatti, l’omonimo brano presente nel primo disco è stato abbozzato e registrato quella notte. Abbiamo viaggiato molto sia per piacere sia per lavoro prima di buttarci in questo progetto che nasce un po’ per caso, all’inizio era un appuntare delle idee dei viaggi fatti. Siamo entrambi orfani di un’altra esperienza musicale e non volevamo metterci così tanto in gioco o comunque non avevamo minimamente idea di voler fare un nuovo progetto. Però abbiamo questi ricordi molto belli ed è come se metti tutti gli elementi in fila: i viaggi e le influenze musicali che si ricollegavano a quei territori. È stata una necessità di voler giocare rimescolando tutte le nostre carte, così abbiamo acceso una miccia ed è iniziato tutto.

La vostra ricerca sonora parte dal Mediterraneo, dove s’inseriscono delle traiettorie che vanno dall’Africa a Bombay fino a San Diego.
È una traiettoria immaginaria. San Diego perché abbiamo legato con un musicista di lì che adoriamo e che cerchiamo di coinvolgere sempre, è un batterista che si è occupato di molte parti ritmiche dei nostri lavori. Con Bombay non abbiamo nessun legame personale, ma è la traiettoria opposta a quella di San Diego. Visivamente è una curva immaginaria che non si ferma all’India ma va oltre, infatti, C’mon Tigre è nato dal jet leg di Tokyo. È una parabola variabile che è partita dall’Africa nel primo disco e ha poggiato i piedi in Asia nel secondo, per il prossimo album abbiamo altre mete che escono da quest’asse.

Guardando al vostro nuovo album «Racines» qual è il vostro background musicale?
Direi molto ampio. Racines, come radici, è partito come idea di musica da club, quella musica che dà una spinta ritmica che ti fa ballare. Ci ricorda quel periodo della nostra vita quando spendevamo il tempo ad ascoltare la musica sia a casa sia fuori insieme gli altri. Siamo persone che ascoltano di tutto e anche qui la situazione è un po’ complessa perché non c’è un filone specifico cui facciamo riferimento. Su Racines abbiamo puntato alla musica da club, hip hop e drum machine, ci ricordano un periodo della nostra vita che vogliamo celebrare.

Nella creazione di un brano, avete una fase di scrittura o componete direttamente registrando in studio?
Abbiamo uno studio, dove stiamo particolarmente bene e che abbiamo cercato di rendere più casa e meno studio possibile, perché abbiamo dei tempi di creazione lunghissimi. Tendiamo ad accumulare idee che appuntiamo registrando. Anche la casualità è ciò che rende l’amalgama del suono dei C’mon Tigre così, ci appassioniamo alle registrazioni iniziali che sono fatte d’urgenza, quindi non tecnicamente buone, sporche però hanno un qualcosa che non riusciamo mai a replicare e quindi ci affezioniamo così tanto che teniamo tutte le sporcizie che rotolano verso il disco. Abbiamo provato a toglierle ma perdiamo totalmente il lato istintivo. Registriamo, abbozziamo idee e quello che sopravvive al tempo si evolve incontrando la necessità del brano, è lui che comanda. Questa cosa della collettività di C’mon Tigre è molto interessante per noi perché non eravamo abituati a gestire una cosa così liberamente. Venivamo da degli ensemble di progetti con 4-5 elementi; invece così siamo liberi di poter chiamare i musicisti giusti per il brano.

Come lavorate con gli altri musicisti?
Solitamente scriviamo le bozze dei brani e poi a seconda degli strumenti di cui abbiamo bisogno cerchiamo i musicisti. Gli scriviamo come di solito fai quando non conosci qualcuno e la cosa bella e che la maggior parte di quelli che abbiamo contattato ci ha risposto positivamente. C’è una grossa libertà e credo che sia stimolante partecipare perché è un banchetto aperto dove puoi portare delle cose. Non ci sono secondi fini, è una cosa che parte per il piacere di farla ed è la base per realizzare dei progetti che abbiano un senso.

È interessante che vi definiate un collettivo.
È per questo motivo che abbiamo deciso di sottrarre i nostri nomi, è un progetto che ha una regia abbastanza forte ma che intende coinvolgere una collettività. È un progetto che poggia sulle gambe di tutti. Abbiamo iniziato in due ma poi siamo diventati tanti ed è giusto parlare di collettività. La maggior parte dei musicisti di questa tournée non li conoscevamo, li abbiamo cercati dopo l’uscita del secondo disco. Molti sono entrati a tutti gli effetti nel progetto come parte attiva ed è bello che siamo riusciti a sviluppare questa parte umana, c’è sempre una buona atmosfera che è la cosa fondamentale.

Come nascono i testi delle canzoni?
I testi arrivano a conclusione del brano, non perché siano meno importanti ma perché la componente principale dei C’mon Tigre è legata al suono e alla parte ritmica. I testi cercano di raccontare delle storie che possano essere in qualche modo universali e l’approccio è molto cinematografico, si parla di astrazione e di trasformare un personaggio che abbiamo incontrato e fargli fare delle cose. Non siamo mai partiti da un testo, cioè da una voce. Tendiamo ad avere l’attitudine a immaginare, non è una scrittura prettamente musicale con un approccio tecnico, ma di testa e di cuore, quando parte l’aspetto compositivo c’è già dietro la visione di un ambiente, di una situazione. Ci sono delle storie solo ascoltando la parte sonora.

Il vostro progetto è arricchito da un lavoro visivo forte che accompagna i vostri brani.
Tutti i video sono stati realizzati per i brani una volta conclusi, è sempre la musica che dà la direttiva. Alcuni sono stati realizzati appositamente, altre opere invece sono concesse. Per esempio Harri Peccinotti, un fotografo importante per la fotografia mondiale che negli anni Settanta ha sdoganato i nudi nella fotografia di moda, ha aperto per noi i suoi archivi e ripescato delle sovrapposizioni di negativi fatti all’epoca e impossibili da replicare oggi come gusto. Anche in questo caso arrivano tutti su invito. Per l’album Racines abbiamo inviato un brano a degli artisti che, a secondo dalle suggestioni che avevano, ci hanno inviato una loro opera. Molti di loro sono dei nostri amici come Gianluigi Toccafondo con cui condividiamo lo spazio dello studio a Bologna; abbiamo un ottimo rapporto di amicizia, di affinità e di rispetto. Con l’illustratore croato Danijel Zezelj collaboriamo spesso e facciamo delle cose in live, altri artisti li abbiamo conosciuti lungo la strada e siamo sempre in contatto.

 

LA BIOGRAFIA. UNIVERSI PARALLELI
C’mon Tigre è un progetto che nasce nel 2013 grazie ai racconti di viaggio e le esperienze sonore dei due fondatori. Intorno al primo disco C’mon Tigre, uscito nel 2014, si è riunito un collettivo di musicisti che hanno aderito al progetto contribuendo a costruire l’universo sonoro che caratterizza la band. Il progetto è arricchito dalle opere di animatori e illustratori che con i loro lavori completano visivamente il racconto sonoro del collettivo come per i singoli Federation Tunisienne de Football dove la ritmica e i fiati prendono corpo attraverso l’animazione di Gianluigi Toccafondo e Mono no Aware in cui il racconto è tessuto attraverso l’arte del ricamo su fotografie di Maurizio Anzeri. L’uscita del secondo album Racines (2019) è accompagnata da un prezioso art book che raccoglie le opere di artisti come Harri Peccinotti, Stefano Ricci, Ericailcane, Mode2, Danijel Žeželj. (s-h.v.p.)