Dopo un weekend dedicato allo scandalo Trump, la campagna presidenziale americana è proseguita con il secondo faccia a faccia fra i candidati. Tanto per confermare la ferocia che ormai la caratterizza, il confronto è stato preceduto  da una diretta Facebook organizzata un’ora prima dell’inizio da Donald Trump, che ha convocato davanti alle telecamere quattro donne che  affermano di essere state vittime dei Clinton per controbilanciare le accuse di misoginia provocato dal video sul suo conto diffuso alla vigilia.

Tre, Kathleen Willey, Juanita Broaddrick, Paula Jones avevano accusato l’ex presidente di molestie durante il mandato di governatore dell’Arkansas e alla Casa bianca. Le rispettive cause legali sono state chiuse negli anni 90 anche se il caso della Jones contribuì con quello di Monica Lewinski al tentato impeachment di Clinton, che finì per risarcirle 850 mial dollari per danni.  La quarta, Kathy Shelton, a 12 anni, era stata vittima di un predatore sessuale la cui difesa d’ufficio fu affidata a Hillary Clinton, ai tempi in cui era un giovane avvocato a Little Rock.
Il siparietto, con le quattro donne sedute a un tavolo scarno imbeccate da Trump a fare le loro dichiarazioni ha però avuto tutta la spontaneità di una confessione nordcoreana, congrua testimonianza del tenore della campagna.

CON LE SPALLE AL MURO per lo scandalo che gli è costato il sostegno di dozzine di leader repubblicani, Trump si è  portato le donne anche nell’auditorium del  dibattito – a mo’ di scudo umano, come ha giustamente osservato Michael Moore, in una gara condotta ormai sempre più a base di «bombardamenti» reciproci. Il progetto originale prevedeva un “agguato” delle quattro donne per mettere in imbarazzo Bill Clinton in diretta tv.
Il comitato organizzatore ha però minacciato di far intervenire il servizio d’ordine e i trumpisti si sono limitati a farle  sedere in prima fila. Con queste premesse è cominciato un confronto che la maggior parte degli americani ha seguito col misto di fascino e repulsione e voyeurismo di chi assiste a una baruffa famigliare o una rissa da strada.

SIN DALL’INIZIO, col rifiuto di darsi la mano, i candidati non hanno deluso le aspettative di chi aspettava un  incontro di wrestling da prima serata: uno spettacolo tossico che è riuscito ad esprimere il peggio di entrambi e a far ulteriormente scadere la dialettica politica a livelli infimi. Il format del confronto era town hall, con domande da un pubblico scelto di elettori «indecisi» e la prima ha subito espresso tutta l’amarezza dell’elettorato: «Pensate di star dando un buon esempio ai nostri figli?», ha chiesto una donna rivolta ai due.

Anderson Cooper della Cnn (moderatore assieme a Martha Radatz della Abc) ha chiesto a Trump di giustificare i fuori onda. «Battute da spogliatoio» ha reiterato il costruttore adducendo due attenuanti: «Bill Clinton ha fatto molto peggio» (indicando le ospiti) e «l’Isis intanto taglia le teste». Quest’ultimo non-sequitur ha addirittura provocato uno scroscio d’applausi, promemoria di un dato comunque inquietante: qualunque cosa accada l’8 novembre, un 40-45% di Americani si riconosce ormai apertamente nella dialettica trumpista.

A QUESTO PUNTO entrambi i candidati sono parsi visibilmente alterati dallo sforzo di controllare l’astio reciproco. Hillary  ha ribattuto che il video di Trump parla da solo e conferma oltre ogni dubbio la non-idoneità a governare, «mostra chi è, e noi non siamo quello» ha detto. Con la bocca impastata Trump ha invece ripetutamente accusato l’avversaria di avere il «cuore gonfio di odio» mentre i moderatori sono parsi sul punto di perdere il controllo. Paradossalmente però la demonizzazione di Clinton ha rassicurato la base del  miliardario, quello zoccolo duro che coltiva un odio, questo sì pastoso e virulento, verso Hillary. Il sentimento in cui la misoginia si mescola alla diffidenza verso la casta politica e l’antiintellettualismo, è stato confermato dal sonoro applauso che ha accolto la fosca promessa di Trump: «Se vado io al potere tu finisci in carcere».

Rincarando il  «bullismo» populista Trump è insomma riuscito a disinnescare almeno in parte la crisi, usando la seconda parte del dibattito per far leva sul più macroscopico tallone d’Achille di Clinton: come può dirsi riformista una politica che da 30 anni è nella stanza dei bottoni? A questo scopo ha potuto citare l’ultimo carteggio wikileaks con i banchieri di società come Deutsche Bank e Goldman Sachs. Documenti senza rivelazioni clamorose ma che rafforzano l’immagine di una politica a suo agio fra i poteri forti e lontana dalla gente comune. Inoltre, mentre la campagna aveva tentato di confutare i documenti, Hillary ha ammesso in diretta la loro autenticità. Assieme alla speculare ammissione di Trump sulle esenzioni «strategiche» impiegate per non pagare tasse federali per 20 anni, ha restituito l’immagine di una campagna ormai incentrata sulle reciproche debolezze.

TRUMP NON È IMPLOSO e questo passa per una vittoria anche se il vantaggio di 5-6 punti della Clinton rimarrà probabilmente inalterato. Ma fra le incognite rimane la forte possibilità di un assenteisimo che la danneggerebbe. Dibattiti come questo certo non aiutano.