Il surriscaldamento del pianeta dovuto ai gas serra prodotti dall’uomo costituisce una minaccia molto più grave ed incombente di quanto vien fatto credere all’opinione pubblica.

L’incidenza maggiore è dovuta all’emissione di anidride carbonica, massimamente dovuta alla combustione fossile per produrre energia (75,2% delle emissioni).

Al suo aumento concorrono altri fattori inquinanti. Bisogna, poi, aggiungere il surriscaldamento imputabile al metano e all’ossido di azoto, prodotti soprattutto dall’agricoltura industriale e zootecnia, nonché ad altri gas di derivazione chimica come i clorofluorocarburi.

Ma va sottolineato che l’anidride carbonica androgena, da sola, ha portato a un aumento medio della temperatura globale di un grado centigrado oltre quella dell’età preindustriale. Questa pericolosa tendenza si è particolarmente accentuata negli ultimi decenni per effetto dello sviluppo tardo capitalista e della società iperconsumista che imperversano nella maniera più sregolata nei paesi più ricchi, specie in America settentrionale, Europa ed Asia orientale.

Di questo passo, secondo gran parte della comunità scientifica e le istituzioni internazionali, a cominciare dall’Organizzazione mondiale per la meteorologia dell’Onu, nel 2050 oltrepasseremo i 2 gradi centigradi.

Una soglia fatale oltre la quale s’innescherebbe un fenomeno micidiale per cui lo stesso pianeta reagirebbe all’aumento della temperatura amplificando autonomamente il riscaldamento. Sicché ogni sforzo per abbattere le emissioni diventerebbe vano. Le conseguenze sarebbero catastrofiche. Sarebbe definitivamente compromesso l’equilibrio di gran parte degli ecosistemi, dall’Artico alla barriera corallina. Il 35% della superficie terrestre dove vive il 55% della popolazione mondiale sarebbe investita da eventi atmosferici estremi.

Il 30% del terreno diverrebbe completamente arido. Due miliardi di persone patirebbero una crisi idrica irreversibile. I danni all’agricoltura del pianeta provocherebbero un amento dei prezzi incontrollabile e una crisi che costringerebbe più di un miliardo di persone a migrare.

Si prevede che le zone tropicali e subtropicali sarebbero le più colpite. In Asia e Africa si registrerebbe il maggior numero di persone vittime della desertificazione. Ma conseguenze disastrose si verificherebbero anche nell’America del nord e del sud e nel Mediterraneo.

In realtà, le conseguenze delle alterazioni climatiche sarebbero tali da compromettere le condizioni d’esistenza di tutti gli abitanti della Terra per come si sono evolute fino ad oggi. Per evitare rischi simili, nel dicembre 2015 i governi di 195 paesi hanno sottoscritto a Parigi un accordo in cui s’impegnano ad intraprendere azioni capaci di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi, in modo da non avvicinare il pericoloso tetto di 2 gradi.

Il problema è che alle parole non stanno seguendo i fatti. Si ripropongono obiettivi di tutela dell’ambiente, ma i provvedimenti effettivi sono del tutto inadeguati o poco più che simbolici. Sicché, continuando di questo passo, il limite prefissato di 1,5 gradi potrebbe essere raggiunto nel 2030. E il 2050 potrebbe segnare l’inizio della fine.

Probabilmente la specie umana sopravviverebbe, ma in condizioni molto diverse da quelle finora conosciute.

Di fronte a tale prospettiva, gli interessi, obiettivi e strategie perseguiti dai gruppi economici e politici dominanti obbediscono ad un utilitarismo cieco ed irresponsabile. L’unico futuro possibile richiede un mutamento pressoché totale delle modalità di funzionamento del sistema economico-sociale oggi imperante.

La lotta per il clima è, quindi, una priorità assoluta. Richiede la mobilitazione di tutte le energie disponibili e l’impiego di tutte le forme di protesta legalmente praticabili e non violente.