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Clima, c’è chi tace e chi SACE

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Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 16 luglio 2022

Sace è la società assicurativo-finanziaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, specializzata nel sostegno alle imprese italiane nel mondo, che copre dai rischi politici e commerciali nei loro investimenti esteri.

Nel corso della propria storia e attività Sace ha sempre avuto come unico obiettivo il sostegno alla competitività delle imprese italiane assicurate, ma, dopo la Cop26 del novembre 2021 a Glasgow, i suoi obiettivi si sono modificati.

Infatti, in quella sede, il governo italiano ha sottoscritto, assieme ad altri 20 Paesi e numerose istituzioni finanziarie, una dichiarazione congiunta per impegnarsi ad azzerare i finanziamenti pubblici internazionali diretti a tutti combustibili fossili entro il 2022.

Con quella dichiarazione, i firmatari di fatto si impegnavano a fare la cosa più logica in tempi di riscaldamento climatico: smettere di gettare benzina sul fuoco finanziando l’industria fossile.

Una dichiarazione importante, che l’Italia firmò all’ultimo momento giusto per evitare brutte figure, e che vede coinvolti, oltre ad alcuni paesi emergenti, diversi Paesi importanti come il Regno Unito, gli Usa e il Canada.

A meno di sei mesi dalla scadenza di quella dichiarazione, l’International Istitute for Sustainable Development ha pubblicato il rapporto Turning Pledges into Action («Trasformare l’impegno in azione») per verificare l’attuazione di quanto deciso.

Secondo il rapporto, sono proprio le agenzie di credito all’esportazione – tra le quali Sace – a dover rendere conto della mancata attuazione, anche perché è dalle stesse che è passato l’80% del sostegno finanziario ai combustibili fossili nel triennio 2018-2020.

Sace si è collocata al terzo posto, dopo Canada e Usa, nell’erogare finanziamenti a processi industriali di estrazione di petrolio e gas

Un triennio nel quale Sace si è collocata al terzo posto, dopo Canada e Usa, nell’erogare finanziamenti a processi industriali di estrazione di petrolio e gas.

Se, allargando lo spazio temporale, consideriamo il periodo 2016-2021, Sace ha garantito il settore dell’industria fossile per 13,7 miliardi di euro. Tra l’altro, considerando«bombe climatiche» come Arctic LNG-2, mega progetto di liquefazione di gas nell’Artico Russo (ora sospeso in seguito alla guerra in Ucraina) e come Eacop, l’oleodotto riscaldato più lungo al mondo da realizzare in Tanzania e Uganda (da cui si è ritirata solo in seguito alle forti proteste ambientaliste).

Secondo il rapporto sopra indicato, la gran parte dei firmatari della dichiarazione sull’energia non ha fatto alcun passo avanti, limitandosi a ribadire generiche volontà d’impegno, senza che a queste siano seguiti impegni cogenti.

È cosi che Sace può continuare a mettere in evidenza sul proprio sito la promessa di favorire la transizione ecologica come «punto di partenza per gli anni a venire, da cui tracciare una traiettoria che ci guidi verso un nuovo modello di sviluppo equilibrato e inclusivo per il nostro pianeta» e, nel contempo, continuare a sostenere le aziende del fossile, avendo come faro la loro competitività internazionale.

In questi giorni, mentre il Paese cuoce e la siccità galoppa, la battuta d’arresto del governo Draghi viene interamente giocata all’interno del quadro partitico-istituzionale, con l’unico obiettivo di capire sotto quale formula e con quali attori consolidare un processo che, grazie alla guerra, ha interrotto ogni discussione sulla necessaria e urgentissima conversione ecologica della società.

Sottrarre subito 13,7 miliardi all’industria fossile per destinarli a un piano nazionale di contrasto alla siccità, con la ristrutturazione degli acquedotti, il riuso industriale delle acque reflue e il rifacimento dei sistemi di irrigazione in agricoltura parrebbe cosa logica e immediatamente realizzabile.

Ma tutto tace e, in attesa del ‘nuovo’ governo, tutto resta nelle mani di Sace.

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