Il cardinale Peter Turkson è una figura chiave ai vertici della Santa Sede. Nei primi anni Duemila, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, è stato scelto da Bergoglio per guidare il nuovo Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Pesano dunque le parole pronunciate ieri a margine di un incontro sui 50 anni dalla Populorum progressio.

A una domanda sulle posizioni del presidente americano, Turkson ha risposto che sulle politiche statunitensi in materia di migrazioni, ambiente e riarmo a Roma «c’è un po’ di preoccupazione, ma per fortuna negli Stati uniti ci sono anche voci contrarie, in disaccordo e contro».

Il cardinale ha citato come un fatto positivo il secondo stop al bando contro le immigrazioni di un giudice delle Hawaii: «È il segno che c’è una parte della società statunitense che man mano alza la voce, usando un altro linguaggio: si spera che Trump stesso cominci a ripensare alcune sue decisioni».

Ora, non è la prima volta che dalla Santa Sede arrivano segnali di questo tipo – basti pensare alle dichiarazioni di gennaio sull’immigration ban dello stesso Turkson e di monsignor Angelo Becciu della Segreteria di Stato – ma questa volta la denuncia è più dura e, soprattutto, ha un referente specifico. Il cardinale infatti ha ricordato che «diversi membri dell’episcopato americano si sono già espressi sulle posizioni del presidente e potrebbero avere un qualche influsso su di esse».

L’invito È quindi alla Conferenza episcopale statunitense e al suo presidente Daniel Di Nardo, chiamato a svolgere una funzione di lobby contro la politica Trump. Un appello che si potrebbe scontrare però con la prudenza, quando non con le resistenze, di una parte significativa dell’episcopato.

La Conferenza ha accolto con soddisfazione la decisione del presidente di tagliare i finanziamenti alle ong che praticano o informano sull’interruzione di gravidanza all’estero. Non mancano poi vescovi che in sintonia con i movimenti pro-life vedono di buon occhio le posizioni di Trump, soprattutto sulle questioni eticamente sensibili e sui diritti civili.

Una maggiore convergenza tra le due sponde della Chiesa si registra invece in materia di spese militari e sul problema ambientale, particolarmente caro a Turkson, che ha collaborato alla stesura dell’enciclica Laudato si’.

Il cardinale ha osservato che, mentre la nuova amministrazione sta smantellando il Clean Power Plan di Obama, «c’è un’altra potenza mondiale come la Cina che sta ripensando le sue posizioni, ad esempio negli sforzi per controllare le temperature, ambito nel quale ha promesso di stanziare sette milioni di dollari».

Da parte sua, l’episcopato ha emanato un comunicato con cui si oppone al provvedimento, ma come sull’immigrazione, non appare davvero intenzionato a dare battaglia.

Risulta dunque evidente che si è venuta a creare una sorta di discrasia tra il profilo della Chiesa disegnato da papa Francesco, che trova nei Movimenti popolari il suo referente politico più gradito (un rapporto non casualmente gestito in prima persona con il cardinale Turkson), e un cattolicesimo americano che è stato decisivo nell’elezione di Trump alla presidenza, che in maggioranza considera ancora come priorità la bioetica e gli interessi politici confessionali e che appare oggi attraversato da correnti diverse.

Nell’intervista al El Pais del 22 gennaio il papa ha assunto un atteggiamento di attesa, facendo un passo indietro rispetto alle stilettate della campagna elettorale e lasciando ai suoi collaboratori più stretti il compito di esprimere il pensiero della Santa Sede.

Alla luce delle tendenze attuali è possibile però che il pontefice si sentirà chiamato a esporsi in maniera più esplicita del messaggio al Super Bowl e al momento ancora non sappiamo se ci sarà l’incontro con Trump in occasione del G7 di maggio.

Se a tutto ciò si aggiunge che nell’amministrazione statunitense si potrebbero essere intensificati i contatti con il cardinale americano Raymond Burke e con l’ala più dura dell’opposizione a Francesco, ci sono tutti gli elementi per ipotizzare un clash dalla valenza politica internazionale.