Giovedì intorno all’una e mezza di notte si sono sentiti gli scoppi: le fiamme e una densa colonna di fumo nero hanno avvolto la Cleprin, azienda chimica (con certificato etico) del Casertano con 40 dipendenti, che realizza saponi industriali e per la casa in località Casamare, tra i Comuni di Sessa Aurunca e Cellole. Due milioni di danni, probabilmente frutto di un atto doloso.

L’azienda fa ricerca e sviluppo in collaborazione con l’Università di Salerno: i suoi detergenti sono a basso impatto ambientale; una linea è dedicata ai prodotti ecologici distribuiti anche attraverso «Il Pacco alla Camorra», cioè la confezione frutto del lavoro di terreni e aziende sottratte alla malavita organizzata o che si sono ribellate ai clan, un progetto del Consorzio Nuova Cooperazione Organizzata.

Franco Beneduce e Antonio Picascia sono i proprietari della Cleprin Srl: hanno aperto i battenti nel 1995 raggiungendo 60 milioni di lire di fatturato, ma gli emissari del clan Esposito (detto dei Muzzoni, che opera nella zona al confine tra Caserta e Latina) hanno aspettato che crescesse e nel 2007 si sono fatti vivi.

«Alla presenza mia – raccontò Picascia – del mio socio, di quello che era un funzionario del Comune e il fratello del boss dissero: “Finora siete stati tranquilli, adesso se volete star tranquilli questa cosa s’ha da fare”». Beneduce e Picascia però non si lasciarono intimidire: «La prima richiesta – racconta Beneduce – fu di assumere il fratello del boss latitante, Gaetano Di Lorenzo, per mille euro al mese. Li andammo a denunciare, il clan non lo sapeva ancora così ci convocarono nell’officina di un carrozziere amico mio. Si ripresentarono perché volevano il pizzo, l’usanza è chiedere “un aiuto per gli amici bisognosi”. Non abbiamo mai saputo quanto volessero esattamente, come valutavano l’azienda. Di solito fanno una richiesta, tu ribatti, poi fai intervenire un amico comune e, alla fine, si arriva a un accordo. Ma noi li abbiamo denunciati di nuovo».

In sei finirono a processo e patteggiarono la pena: «Nel 2010, uscito dopo appena 4 mesi di carcere, l’ex direttore dell’ufficio tecnico del Comune di Sessa Aurunca, Arturo Di Marco, mandò i camion ogni notte per un mese ad agosto a scaricare percolato davanti i cancelli della nostra fabbrica – prosegue Beneduce – Raccontammo tutto alle forze dell’ordine: così vennero arrestati in flagrante due dipendenti della società che aveva l’appalto per la raccolta dei rifiuti», si trattava della Ecological Service Srl di Boscoreale.

Da allora la Cleprin è oggetto continuo di denunce anonime, c’è chi li vede scaricare rifiuti nei fossi o commettere reati, a ogni delazione rispondono con una controdenuncia alla Dia. «È diventato un fatto di principio per i clan, siamo un esempio pericoloso. Nel 2007 ci sentivamo soli, oggi abbiamo una rete intorno che ci sostiene».

Il capoclan Mario Esposito è stato arrestato nel 1994 a Barcellona, è detenuto in regime di 41bis e non si è mai pentito. Per questo i rapporti con i Casalesi sono rimasti ottimi nel corso degli anni, soprattutto con la famiglia Zagaria. Così, nonostante le lotte interne alle fazioni casertane, i Muzzoni hanno sempre tenuto il controllo del territorio che arriva fino al Mondragone. Giovedì notte le intimidazioni hanno fatto uno scatto in avanti, salendo di livello: le fiamme hanno avvolto l’area dove erano stipati i cartoni, gli uffici e la produzione, ma non il deposito con la merce pronta da spedire.

La speranza è poter rientrare rapidamente in azienda, ora sotto sigilli, per smaltire almeno gli ordini in magazzino e non perdere clienti.

Poche ore prima dell’incendio, i soci della Cleprin erano al Festival dell’Impegno civile «Le Terre di don Diana», presso il bene confiscato nella frazione Maiano, affidato alla cooperativa Al di là dei sogni, dedicati ad Alberto Varone un piccolo imprenditore ucciso dalla camorra il 24 luglio del 1991. Una moglie e cinque figli, si alzava ogni notte alle tre per distribuire i giornali in una trentina di edicole tra Roccamonfina e le frazioni di Sessa Aurunca. Finito il giro, apriva il negozio di mobili che gestiva con la moglie. Gli emissari degli Esposito gli chiesero il pizzo, ma lui rifiutò. Così lo aspettano la mattina all’alba sulla via Appia e lo crivellano di colpi con un fucile a canne mozze, l’ultimo sul viso. Portato in ospedale, riuscì a sussurrare alla moglie il nome degli assassini prima di morire. Il figlio Giancarlo si rimise al lavoro al posto del padre, ma arrivano presto le minacce. La famiglia allora decise di denunciare tutto, finendo nel programma testimoni e da allora nel Casertano nessuno ha più avuto loro notizie.

Venerdì pomeriggio gli uomini e le donne della cooperativa che lavora sul fondo dedicato a Varone, gli animatori del Festival dell’Impegno civile, la Nco e tutte le organizzazioni del territorio erano ai cancelli della Cleprin a esprimere il loro sostegno. E soprattutto a chiedere che li si lasci rimettere in sesto le linee produttive nel più breve tempo possibile.

Il Forum nazionale agricoltura sociale (300 aziende e cooperative sociali su tutto il territorio) ha sollecitato le istituzioni «non solo alla tutela di chi è sempre in prima linea contro la camorra, ma anche a sostenere la Cleprin, che deve presto tornare a lavorare». Chiede che si indaghi con attenzione anche Confcooperative Campania: «L’incendio, di cui si sospetta la natura dolosa, è un atto vile. La Cleprin è un’eccellenza, da anni attenta al sociale, collabora con le nostre cooperative di inserimento lavorativo, dando opportunità concrete alle persone in difficoltà».