Il curling non appare come uno sport appassionante. Vedere otto persone su un campo ghiacciato che lanciano venti chili di pietre, di granito con manico, verso dei cerchi lontani, mentre i compagni spazzolano velocemente il ghiaccio per far scivolare meglio la «stone» vicino al tondo dove si fanno i punti è piuttosto noioso. Da oggi però chiunque abbia avuto modo di vedere La mossa del pinguino avrà uno sguardo più comprensivo verso il curling. Merito di un insospettabile Claudio Amendola in veste di regista, ma anche di sceneggiatore con Edoardo Leo (uno dei protagonisti), Michele Alberico e Giulio Di Martino.

I quattro hanno saputo fare squadra e confezionare un racconto delicato, godibile e ricco di emozioni capace di coniugare i sogni con la realtà. Tutto parte da Bruno (Edoardo Leo) lavoratore precario, fa le pulizie di notte pagato miseramente, vita modesta quindi, anche perché è sposato con la cassiera di un supermercato (Francesca Inaudi), hanno un figlio (anche se lei affettuosamente risentita dice sempre di averne due, di cui uno scemo, riferendosi al marito), i conti non tornano mai, e sono anche sotto sfratto. Già la premessa sposta l’asse della commedia, affondando radici nel reale più amaro. Bruno però è un sognatore di grandi imprese, meglio se sportive, lui si commuove alle premiazioni con l’inno, è un cuore semplice.

E, visto che siamo nel 2005, vedendo il curling in tv, anziché cambiare canale come farebbe ogni persona dotata di buon senso, in lui si accende una lampadina stravagante: l’anno dopo ci sono le Olimpiadi invernali a Torino, in Italia nessuno pratica quello sport, si potrebbe tentare di partecipare alle Olimpiadi. Subito convince l’amico di sempre, Salvatore (un grande Ricky Memphis), che lo ha seguito in tutte le avventure bislacche e fallimentari, compreso addestrare delfini in un lago, ovviamente d’acqua dolce. Salvatore è una pasta d’uomo, vive con il babbo molto anziano e fuori di testa, ma non vuole farlo ricoverare, preferisce rinunciare alla sua vita piuttosto che ferire papà, così quando rientra dal lavoro passa il resto della notte sulle panchine a simulare di pescare col babbo.

Solo che per fare una squadra di curling bisogna essere in quattro. Ecco allora entrare in gioco l’ex vigile in pensione Ottavio (Ennio Fantastichini) concreto, quadrato e rigido, ma anche grande bocciatore sul campo di bocce e Neno (Antonello Fassari) mago delle boccette sul biliardo, teorico dell’accosto, e usuraio con improbabile parrucchino rosso (il personaggio meno riuscito perché non elaborato e quindi un po’ ridotto a macchietta). Un’armata Brancaleone, così vengono definiti in un trafiletto, che cerca di scalare le vette sportive passando per Pinerolo e puntare all’Olimpo.

Claudio Amendola è sorprendente, da lui ci si sarebbe aspettati una variante del Monnezza, invece si muove nei casermoni della periferia e negli appartamenti delle persone più modeste come se quello fosse il suo habitat. Rivela una rara sensibilità nel rappresentare i suoi sognatori e va ben oltre la commedia, una sorta di nuovo realismo fantastico che riesce addirittura a rievocare quel Miracolo a Milano di De Sica e Zavattini.

Il tempo è passato, è cambiata l’Italia e il mondo, ma qui siamo davvero prossimi a un Miracolo a Roma con le scope che non servono per volare in piazza del Duomo ma aiutano a grattare il ghiaccio, per far volare metaforicamente i protagonisti che imparano davvero a dirsi «buon giorno» gli uni agli altri, a fare squadra, nonostante tutti i pasticci, i rancori e gli errori che ognuno si porta appresso. Inutile spiegare il titolo, bisogna vedere il film.