Il cinema, diceva, aveva imparato a farlo senza scuole ma guardando dei buoni film. Gli studi lo avevano portato da un’altra parte, una laurea il legge che preludeva un diverso destino, e invece Claude Goretta, morto ieri a Ginevra a ottantanove anni – era nato il 23 giugno del 1929- era diventato uno dei protagonisti di quella che si può chiamare la «nuova onda del cinema svizzero».
Insieme a Alain Tanner, Michel Soutter, Jean-Louis Roy, Jean-Jacques Lagrange aveva fondato negli anni Sessanta il Groupe 5, il collettivo di registi svizzeri che aveva radicalmente trasformato l’immaginario del Paese, iniettandovi disagio e sensibilità stridenti, sintonizzati coi desideri di rivolta nel resto del mondo.

IL PRIMO FILM, un cortometraggio, Nice Time (1957), è firmato con Alain Tanner. I due che avevano già curato insieme la programmazione di un cineclub a Ginevra – con film del neorealismo italiano, nouvelle vague ecc – hanno poco più di vent’anni e vivono a Londra già da due anni dove lavorano al Bfi occupandosi dell’archivio e dei sottotitoli per i film francesi. Grazie a una borsa di studio realizzano appunto Nice Time, un documentario ambientato a Piccadilly Circus di notte che guarda al Free cinema. Girato in 16 millimetri, nel corso di 25 fine settimana, anche se rappresenta un solo sabato sera, il film mescola immagini senza parole di giovani coppie, gente in coda per il cinema, teddy-boys, spogliarelliste… Goretta ripeterà spesso che l’esperienza londinese era stata fondamentale. Tornato a Ginevra inizia a lavorare alla televisione svizzero-romanda con una serie di documentari e reportage e film televisivi in cui allena la sua sensibilità verso le persone fragili, messe un po’ ai margini della società se non in aperto scollamento con essa, che torneranno in tutti i personaggi del suo cinema.

«LE FOU» (1970), il suo esordio nel lungometraggio, con protagonista François Simon, è la storia di un uomo, un pensionato, e della sua «vendetta» contro il sistema finanziario di banche (svizzere) implacabili che lo hanno portato alla rovina. Sarà un insuccesso, i distributori non lo vogliono e Goretta torna alla televisione fino al 1973, quando gira L’invitation, premio della giuria al festival di Cannes e candidato agli Oscar per il miglior film straniero. Ancora il ritratto di un «vinto dalla vita che non ha alcun appuntamento con la Storia» – secondo le parole del regista – stavolta un impiegato la cui festa per un’improvvisa eredità rivela la grettezza del piccolo mondo in cui vive.

Il nome di Goretta è ormai definitivamente uscito dai confini svizzeri, il successivo Pas si méchant que ça (1975), «un Bonnie and Clyde alla svizzera» è amato dalla critica mondiale, anche se l’affermazione arriva soprattutto con La merlettaia (1977) che lanceràuna nuova attrice, Isabelle Huppert, meravigliosa nel ruolo di «Pomme», la timida ragazza che impazzisce per amore in un melodramma di classe – lui alta borghesia, lei — dal romanzo di Pascal Lainé, che illumina la prepotenza del maschile sul femminile all’interno della stessa logica di potere, e con delicatezza, e sempre vicino al personaggio, senza schematismi né facili soluzioni.
Lo stesso sentimento che caratterizza La provinciale, un altro personaggio di donna (stavolta è Nathalie Baye) «una ragazza francese come tante», che lascia la sua città di provincia per lavorare a Parigi, e viene macinata da relazioni mai felici – nel cast c’è anche Bruno Ganz, e tra gli attori che lavorano con Goretta troviamo Gian Maria Volonté protagonista di La morte di Mario Ricci (1983), inchiesta sul mistero del decesso di un operaio italiano, e sui lati oscuri dell’ordinata Svizzera, per cui vinse il premio per il miglior attore a Cannes.