Una causa collettiva – una sorta di class action – contro il Gse, il Gestore dei servizi energetici: la portano avanti un centinaio di addetti al call center che da anni vengono sballottolati da un appalto all’altro, ma che ritengono di avere tutte le carte in regola per essere assunti – in gergo tecnico «internalizzati» – dall’azienda di proprietà del ministero dell’Economia. La strada della giustizia però è ancora lunga, e il prossimo soggetto che assumerà i lavoratori – in forza di una gara aggiudicata di recente – è molto noto: si tratta del colosso del settore Almaviva.

Il gruppo controllato dai Tripi – stando agli obblighi previsti nel capitolato di gara – ha dovuto applicare la clausola sociale (riprendere gli stessi lavoratori), con la specifica territoriale (i 120 posti di lavoro dovranno rimanere a Roma) e con la garanzia di tenere tutti per almeno un anno.

Condizioni che però non tranquillizzano gli operatori: Almaviva esce da una sofferta vertenza, proprio nella Capitale, che ha portato alla chiusura del sito locale, con il licenziamento di 1.666 dipendenti. Ora, dopo pochi mesi, il «ritorno» a Roma: avrà migliori auspici? E poi non è chiaro se nel passaggio dal vecchio appalto al nuovo verranno conservate le tutele contrattuali, tra cui l’articolo 18. L’impresa appena subentrata potrebbe benissimo applicare il Jobs Act, con le conseguenti «tutele crescenti».

Almaviva dovrebbe assumere con il contratto delle tlc, adatto a chi opera nelle comunicazioni, mentre da almeno sette anni (le prime assunzioni risalgono al 2010) i 120 operatori del call center Gse si vedono applicato il contratto dei metalmeccanici, al secondo livello. Loro parlano di un vero e proprio «sfruttamento», di «paghe e competenze sotto stimate rispetto alle effettive mansioni svolte», che sono «del tutto simili a quelle dei dipendenti interni del Gse». Dovrebbero essere inquadrati, insomma, come i dipendenti del Gse, e tra l’altro riconoscendo un ruolo da «funzionari pubblici».

Questo ovviamente non potrà avvenire dentro Almaviva – a cui comunque i lavoratori chiedono intanto la continuità delle tutele e dell’articolo 18 – ma sarà possibile se vinceranno la causa per «interposizione illecita di manodopera» che hanno intentato contro il Gse.

Il Gse opera per la promozione delle energie rinnovabili – fotovoltaico, eolico, geotermico – e riconosce ai soggetti pubblici e privati (famiglie e imprese), per conto del ministero dell’Economia, il diritto a usufruire degli incentivi statali.

Chi chiede gli incentivi (cifre in alcuni casi a diversi zeri, anche per 20 anni) presenta i documenti e il Gse apre una istruttoria, decidendo poi se concederli o meno. Gli operatori del call center danno tutte le informazioni necessarie (fiscali, legali, normative), sono stati assunti con il requisito della laurea e hanno seguito diversi corsi di formazione.

«Alcuni di noi – raccontano i lavoratori, che nella class action si fanno assistere dalla Fiom Cgil – hanno insegnato nei corsi di formazione. Altri hanno prestato servizio nella sede centrale del Gse: e quando venivano degli operatori esterni a chiedere informazioni, le fornivano di persona accanto ai dipendenti interni. È capitato perfino che seguissimo da soli alcune istruttorie». Tutto questo sempre in appalto: prima per la Xenesys srl, società fallita nel 2014; in seguito l’attività è stata affittata alla Fulltechnology srl, a questo punto uscente a favore della vincitrice dell’ultima gara, Almaviva.

A sostegno degli operatori Gse, l’M5S ha presentato una interrogazione parlamentare.