A quasi un secolo di distanza si inizia a fare storia districandosi fra fonti e ricordi e illuminando i territori di confine, quelli che, sotto l’urgente necessità della ricostruzione e per l’indisponibilità documentale, non erano stati indagati.

Mirella Serri è avvezza da anni al preciso e attento lavoro filologico nelle pieghe della storia italiana: da diverse prospettive ha raccontato dei giovani intellettuali fascisti (I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938-1948, 2005 e Gli irriducibili, 2019), dei partigiani scomodi (Un amore partigiano, 2014) e degli eroi dimenticati (Bambini in fuga, 2017). La lettura che, in questa sua ultima divulgazione storica – Claretta l’Hitleriana (Longanesi, pp. 297, euro 19) – Serri ci propone è centrata sui documenti conservati presso l’Archivio centrale dello Stato, disponibili da qualche anno per la pubblica consultazione, sugli stessi diari di Claretta Petacci (Mussolini segreto, Diari 1932-1938, 2009 e Verso il disastro. Mussolini in guerra. Diari 1939-40, 2011) nonché sull’ormai ricca bibliografia esistente sui protagonisti del ventennio.

LA FIGURA DI CLARETTA Petacci è stata presentata, come quella di una donna innamorata al punto da sacrificare se stessa per proteggere con il suo stesso corpo, l’amato, la sua morte considerata, anche da illustri personaggi (Sandro Pertini: «Non doveva essere uccisa») come una frettolosa conclusione dovuta alla concitazione del momento. Ferdinando Petacci, figlio di Marcello, ha ipotizzato che la zia fosse una collaboratrice degli inglesi (in Mussolini segreto: «Per dare una chiave di lettura ai diari, è fondamentale stabilire chi era Claretta. Soltanto un’amante? Una spia al servizio degli inglesi? Un canale segreto di comunicazione fra Mussolini e Churchill?»).

Il vivido quadro che ora emerge dal libro di Serri e che riesce a coinvolgerci è quello di una donna ambiziosa tesa al raggiungimento di una sua personale visibilità attraverso l’esercizio del potere nell’unica forma allora (allora?) consentita, cioè attraverso la frequentazione del potere maschile. Leggiamo così dei molti favori chiesti per sé – l’allontanamento del marito – e per la famiglia, da quelli che riguardano il padre, a quelli per il fratello Marcello che percorre, grazie a lei, una rapidissima carriera. Una tale insistenza per il miglioramento delle condizioni di una famiglia già molto benestante, appare oggi come il segno di un’ansia di affermazione personale.

LA «BIMBA», tale il vezzeggiativo dato dall’amante e tale l’immagine offerta dal diminutivo del suo nome – nessuno la chiama Clarice, tutti Claretta – vuole essere protagonista, intreccia oscuri rapporti con il mondo affaristico del regime e con le alte sfere naziste, intorno a lei si irradia una tela di prebende e di favori che giungono a trarre vantaggio anche dalle leggi razziali.

A fronte di questo inesauribile desiderio di potere di cui la ricerca di denaro è il più vistoso simbolo, le retoriche ed enfatiche, dichiarazioni d’amore («A te io mi affido, così come una bambina tremante e timorosa, in te, nelle tue braccia io voglio nascondere la mia testolina dolorante», «Eri meraviglioso, eri bello, amore, più di sempre») perdono credibilità davanti alla nostra disincantata lettura, impossibile non fare attenzione ai tentativi del suo amante di creare una distanza, alle sue domande circa la natura di questo legame da parte di una ragazza tanto più giovane.

A fare da sfondo alla vicenda i ricchi ambienti dell’Italia fascista che nemmeno la guerra riesce a distruggere: gioiellerie, ricevimenti, abiti da sera, ristoranti, raffinata biancheria intima, oro e terreni, ville e appartamenti. Restano nella mente il diamante da tre carati pagato dal Ministero dell’Interno e il vassoio di aragoste mangiato da Bocchini – che poi la stessa notte ebbe un ictus – mentre nel Paese erano iniziate le restrizioni alimentari.
Sullo sfondo la piccolezza dell’uomo, «vantone» con la giovane amante – triste il riferire a lei dei numerosi e rapidissimi rapporti con le donne – triste il sottolineare a lei quanto non sopportasse la vita con la moglie (mentre altre testimonianze ci parlano di un uomo ben attento all’equilibrio della sua vita famigliare).

QUANTO SIAMO LONTANI oggi da queste dinamiche? Dalla doppia morale di chi è dentro «la Casta» e di chi, credendo di averla abbattuta, ne crea di fatto una nuova? Il dubbio resta e questo libro è un’ottima occasione per spingerci ad osservare con attenzione, partendo da quella del passato, la contemporanea sintassi del potere, femminile, maschile.