Un misterioso omicidio durante una festa di fidanzamento della nobiltà londinese, un atto di particolare ferocia che sconvolge la piccola folla elegante riunita in un profumato giardino d’inverno. Siamo a Londra nel 1881, nel pieno di grandi cambiamenti politici, scientifici e culturali, alla luce dei quali ciò che appare inizialmente come una manifestazione di semplice follia omicida, finirà per essere considerato come la testimonianza più terribile di una delle minacce che gravano sulla società britannica. Se la modernità sta portando con sé dei decisi miglioramenti nelle condizioni di vita di alcuni, nei quartieri poveri si continua a morire per strada. Mentre in seno ad una parte dell’élite del Paese si fa strada l’idea che per affrontare le sfide del futuro «la razza umana» vada selezionata come avviene per le specie di rose. Attraverso una minuziosa ricostruzione del clima intellettuale e della vita quotidiana della Londra vittoriana, la scrittrice Claire Evans, al suo esordio narrativo con La quattordicesima lettera (Neri Pozza, pp. 444, euro 18, traduzione di Chiara Ujka) indaga grazie ad un pugno di bizzarri personaggi, come il giovane avvocato William Lamb, l’ispettore di Scotland Yard Harry Treadway e Savannah, un’«indiana» sbarcata oltreoceano dall’Arizona, luci e ombre di un’epoca nella quale il progresso si è accompagnato spesso alla barbarie.

[do action=”citazione”]Nel bene e nel male, all’epoca il tempo è sembrato balzare in avanti. Abbiamo avuto le lampadine ma anche la guerra chimica. Più libertà, ma anche più razzismo[/do]

 

«La quattordicesima lettera» esplora le contraddizioni dell’età vittoriana. Cosa rappresenta per lei quell’epoca?
Sono sempre stata affascinata dal periodo che ha visto la fine del XIX secolo, in particolare dagli anni intorno al 1880. È il decennio che ha dato alla luce il mondo moderno: il telefono, l’elettricità, il cinema sono solo alcune delle invenzioni la cui origine possiamo far risalire a quel momento storico. La scienza ha aperto la strada a molte innovazioni ma anche la politica stava cambiando. Ad esempio il movimento socialista si stava radicando, malgrado sul piano sociale quella fosse una fase di forti contrasti e l’immagine elegante della Londra vittoriana conviveva con il ventre marcio della città, fatto di povertà e criminalità e che nascondeva mille pericoli. Per questo guardo a quell’epoca come a un mondo affascinante che ha il profilo di una fiaba oscura.

La regina Vittoria

Il romanzo è ispirato a tutto questo?
Certo, anche se rappresenta il punto di incontro di diverse influenze. Oltre alla mia ossessione per questo periodo storico c’è la constatazione che in quell’epoca emersero anche molte idee pericolose intorno all’ineguaglianza tra gli esseri umani che avrebbero contribuito agli orrori delle guerre del XX secolo. Ma suppongo che il vero punto di partenza sia stato il personaggio di William Lamb. L’avevo immaginato già una decina di anni fa quando anch’io, come lui, ero un’impiegata annoiata e ingenua che sognava una grande avventura che potesse salvarmi dal tedio della vita di tutti i giorni.

La scrittrice Claire Evans

Le figure che cercano di fare luce sui molti misteri descritti nel romanzo, William, Harry e Savannah non assomigliano in alcun modo al celebre Sherlock Holmes che debuttava proprio negli anni in cui è ambienta la storia. In questo caso si tratta piuttosto di «eroi» loro malgrado?
Sicuramente alla fine diventano eroi, anche se non partono proprio con queste premesse… In particolare per William ho immaginato un itinerario verso una qualche forma di consapevolezza: da giovane solitario, spaventato e che cerca di vivere il più possibile al riparo della vita, ad una figura che scopre a modo suo un grande coraggio in sé, tanto da riuscire a resistere alle forze dell’oscurità che si muovono intorno a lui.

L’epoca descritta è quella delle grandi scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche, ma in questa avanzata del progresso si nasconde anche l’idea terribile della selezione tra gli esseri umani: il cuore di tenebra della modernità occidentale?
Il termine Eugenics, eugenetica, fu coniato per la prima volta nel 1883, dal cugino di Charles Darwin, Francis Goulton. A noi tutto questo fa orrore, ma suppongo che si possa dire che all’epoca queste idee erano circondate da un alone di innocenza. Il movimento eugenetico nel Regno Unito degli anni ottanta del XIX secolo era guidato principalmente da pensatori di «sinistra» che immaginavano di poter allevare degli uomini «nuovi» per migliorare il lavoro e le condizioni di vita della working class. In quel periodo anche tra i progressisti vi era la ferma convinzione che le classi meno agiate soffrissero anche di qualche deficit fisico o biologico e che si potesse agire su questo per renderne meno dura la vita. Il fatto è che si trattava, e questo ben al di là delle idee politiche, di una società totalmente immersa, e assolutamente a proprio agio, nelle proprie certezze e pregiudizi razziali. E, nonostante gli orrori della Seconda guerra mondiale, mi chiedo quanto sia davvero cambiata.

Molti personaggi della storia evocano più o meno esplicitamente delle personalità dell’epoca, a cosa si deve questa scelta?
In effetti, diversi personaggi sono ispirati a figure note di quel periodo: dal Cancelliere tedesco Bismark ai Vanderbilt, una delle «casate» più famose e potenti degli Stati Uniti. Mi servivano come punto di partenza, per inquadrare meglio la vicenda dal punto di vista storico. E per far sì che i veri protagonisti, William, Harry e Savannah, arrivata a Londra dall’Arizona come accadde realmente ad alcuni che avevano seguito in quegli anni il tour europeo del Wild West Show di Buffalo Bill, potessero vivere un’avventura che, pur se frutto della mia immaginazione, contenesse un’eco del clima e degli avvenimenti di quella stagione.

[do action=”citazione”]In Gran Bretagna c’è chi ha scritto che La quattordicesima ora fa incontrare le storie di Charles Dickens con la serie tv Game of Thrones: una definizione che mi piace molto.[/do]

 

Si può dire che tra i personaggi principali ci sia anche la città di Londra, descritta come se si trattasse di un romanzo dove ad ogni zona corrisponde non solo uno spaccato sociale ma in fondo anche uno stato d’animo. A partire da una sordida Whitechapel dove dominano il sospetto e la paura…
Volevo che si respirasse quella sensazione di mondi diversi che vivevano gli uni accanto agli altri in uno spazio, quello della Londra dell’epoca, tutt’altro che sconfinato. E, allo stesso modo, volevo cercare di infrangere questi limiti, passando dai salotti dei ricchi ai bassifondi dei poveri nello spazio di qualche riga.

Il libro attinge a più di un canone letterario e a diversi «generi», dalla crime novel al gotico, passando per il mistery, la science fiction e il romanzo storico.
Ero entusiasta all’idea di scrivere un romanzo che cercasse proprio di confondere i diversi generi, sfumandone i contorni e muovendosi lungo i confini tra uno stile e l’altro. Questo perché ai miei occhi il passato rappresenta «un altro mondo», fatto di fantasia quanto di realtà. Volevo scrivere un thriller storico, ma prendendo in prestito gli abiti del fantasy senza mai varcare davvero il confine con la fantascienza. Tutte le scoperte scientifiche, e le idee legate alla scienza di cui si parla nel libro sono relative alla realtà di quel periodo, a ciò che all’epoca si stava sperimentando o che faceva parte del dibattito del momento. Sia in positivo che in negativo. In Gran Bretagna c’è chi ha scritto che La quattordicesima ora fa incontrare le storie di Charles Dickens con la serie tv Game of Thrones: una definizione che mi piace molto.

Un’immagine della Londra vittoria

In questo senso, c’è un libro dell’epoca vittoriana che l’ha influenzata più di altri?
Sì, senza dubbio, anche se si tratta probabilmente di uno dei testi che ha rotto di più con i canoni narrativi dell’epoca. Si tratta di Cime tempestose di Emily Brontë. Credo di averlo letto almeno dieci volte in varie fasi della mia vita. Penso che ci sia qualcosa di sfuggente, qualcosa di inconoscibile nel libro che a ogni nuova lettura mi riprometto, ma sempre invano, di scoprire.

«La quattordicesima lettera» racconta una stagione che ha rappresentato una sorta di annuncio del futuro, mettendo in evidenza luci e ombre della modernità. Un’epoca che interroga il presente?
All’epoca, il tempo è sembrato balzare in avanti, nel bene e nel male. Abbiamo avuto le lampadine e il riscaldamento, ma anche la guerra chimica. Si sono rafforzate le libertà personali, ma falsi ragionamenti scientifici hanno contribuito a reprimerle in egual misura. In questo senso, la battaglia dentro di noi è ancora viva e vegeta. Come scriveva Darwin, «mi sembra che l’uomo, con tutte le sue nobili qualità e il suo intelletto divino, porti ancora il segno indelebile della sua umile origine».