Non si deciderà oggi la battaglia che si sta combattendo in Brasile tra democrazia e barbarie. Ma se il ballottaggio tra il candidato di Lula e quello dell’estrema destra è dato per scontato, l’esito finale – per il quale bisognerà attendere il 28 ottobre – appare invece incertissimo.

ALLA VIGILIA DEL PRIMO TURNO delle elezioni (che definiranno anche la nuova composizione del Congresso come pure i governi dei 27 stati del Brasile), il filo-fascista Jair Bolsonaro è ancora saldamente al primo posto nei sondaggi, con una percentuale che oscilla tra il 32% e il 35% delle intenzioni di voto. E sembra sicuro anche il secondo posto di Fernando Haddad, con il 22-23% delle preferenze, in lieve crescita rispetto ai precedenti rilevamenti.

Ma per i due candidati che si giocheranno la presidenza risulta assai elevato anche l’«indice di disapprovazione», a dimostrazione di quanto siano radicati nel paese tanto l’antibolsonarismo quanto l’antipetismo: gli elettori decisi a non votare in nessuna circostanza per Bolsonaro costituiscono il 42%, contro il 37% di quelli che escludono categoricamente di dare la preferenza al candidato del Pt e di Lula.

Che poi il rifiuto per Haddad sia cresciuto di ben 10 punti in una sola settimana non fa che indicare come la campagna mediatico-giudiziaria diretta già da alcuni anni a distruggere la figura di Lula e del suo partito abbia registrato un’impennata proprio nei giorni precedenti al voto, soprattutto attraverso un micidiale uso di fake news da parte dell’estrema destra.

 

[do action=”quote” autore=”Guilherme Boulos, candidato del Psol”]Sono nato sotto il regime militare. Voglio che le mie figlie crescano in una democrazia. Dobbiamo alzare la voce e gridare: mai più dittatura[/do]

 

In un quadro così polarizzato, in cui la politica, grazie anche all’opera sapiente dei mezzi di comunicazione, assume quasi i tratti del tifo calcistico, i temi, le proposte e i programmi dei candidati sono praticamente scomparsi dalla scena, cedendo il terreno all’attesa messianica di un salvatore.

È COSÌ CHE SI SPIEGA come Bolsonaro venga percepito come candidato anti-sistema, malgrado le sue proposte siano di fatto assimilabili all’agenda neoliberista dell’impopolarissimo Temer, solo in una versione autoritaria, razzista e misogina. Non per niente a sostenere l’ex ufficiale dei paracadutisti è la «bancada BBB» (boi, bala e bíblia, ovvero bue, pallottola e bibbia) al gran completo, cioè la lobby dei latifondisti, quella dell’industria delle armi e quella degli evangelici fondamentalisti.

 

Geraldo Alckmin dopo un comizio (foto Afp)

 

Fallito il tentativo delle forze golpiste di riunire le destre attorno al socialdemocratico Geraldo Alckmin – ormai fuori dai giochi, in virtù del suo misero 8% delle intenzioni di voto – e sfumata persino la possibilità di ripiegare sull’ambiguo e ondivago Ciro Gomez, fermo all’11%, la destra tradizionale ha dovuto infine rassegnarsi – almeno maggioritariamente – a sostenere Bolsonaro, pur non considerandolo un legittimo rappresentante del capitale.

MA, COME SOTTOLINEA il leader del Movimento dei senza terra João Pedro Stedile, l’ex capitano non è che il frutto di ciò che tali forze «hanno seminato negli ultimi cinque anni, scagliandosi incessantemente contro il Pt, contro la sinistra, contro il Venezuela, contro Lula, contro l’uguaglianza sociale, contro i neri, contro i senza terra». Perché è ovvio che, dinanzi a «un inneggiare continuo alla discriminazione, alla misoginia, alle idee fasciste», prima o poi tali idee dovevano finire per incarnarsi in un candidato come Bolsonaro. Uno che, per sua stessa ammissione, non se la prenderebbe se venisse paragonato a Hitler, ma si sentirebbe offeso se lo definissero gay.

Di sicuro, come hanno evidenziato sia Haddad che il candidato del Psol Guilherme Boulos durante l’ultimo dibattito presidenziale realizzato dalla Rede Globo – e snobbato da Bolsonaro -, l’epoca della dittatura non è mai sembrata tanto vicina: «Sono nato sotto il regime militare – ha dichiarato Boulos -. Voglio che le mie figlie crescano in una democrazia. Dobbiamo alzare la voce e gridare: mai più dittatura».

 

Fernando Haddad, Il candidato del Pt e di Lula tra la gente durante la sua campagna elettorale. I sondaggi per il primo turno lo danno al 22-23% (foto Afp)

 

Eppure, non manca di certo chi ritiene che una dittatura in Brasile non ci sia mai stata e che quanto avvenuto nel 1964 sia stato solo un contro-golpe di fronte al rischio di un sanguinoso regime comunista. E ancor più impressionante è che a dirlo non siano solo i militari e i sostenitori di Bolsonaro, ma addirittura il presidente della Corte suprema Antonio Días Toffoli, il quale, in occasione del 30mo anniversario della Costituzione, ha proposto di parlare non di dittatura militare ma di «movimento del 1964».

IN QUESTO QUADRO, è chiaro come i pur non trascurabili limiti ed errori del Pt passino in secondo piano. La foto postata su Facebook di due candidati del partito di Bolsonaro (Partido Social Liberal), Rodrigo Amorim e Daniel Silveira, nell’atto di mostrare trionfalmente la targa spezzata in due della via intitolata a Marielle Franco a Rio de Janeiro – un omaggio alla consigliera assassinata del Psol da parte dei suoi sostenitori – mostra nel modo migliore come per le forze progressiste e di sinistra l’alternativa sia una sola: il riscatto della democrazia o una deriva autoritaria. Civiltà o barbarie.