Un quadro raccapricciante di abusi e un duro atto d’accusa rivolto al governo di Juba. Sono questi i contenuti salienti del rapporto sulla situazione nel Sud Sudan stilato dall’Alto commissariato Onu per i diritti dell’uomo e reso pubblico ieri.

Lo «stato più giovane del mondo» era stato salutato da squilli di giubilo dalla comunità internazionale, nel luglio 2011, nella speranza forse di far terra bruciata intorno al presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir, su cui pende ancora un mandato d’arresto della Corte penale internazionale per “crimini contro l’umanità” relativo ai massacri commessi in Darfur. Oggi si fanno invece i conti con gli effetti disastrosi del conflitto divampato nel dicembre 2013 all’interno del Sud Sudan tra l’esercito fedele al presidente Salva Kiir e le milizie ribelli guidate dal suo ex vice, Riek Machar, trasformatosi in principale oppositore. Una guerra civile che non si è mai veramente conclusa, malgrado gli “accordi di pace” siglati lo scorso anno in Etiopia, per effetto dei quali Machar è stato rieletto vice-presidente appena un mese fa. Peccato che al momento, temendo per la sua incolumità, non sembra avere intenzione di lasciare Addid Abeba per tornare a fare il vice del suo acerrimo nemico a Juba.

La portavoce dell’Alto commissariato Cécille Pouilly non usa giri di parole: «Abbiamo assistito a esecuzioni sommarie e omicidi anche di ragazzini, persone disabili bruciate vive, gente asfissiata nei container, appesa agli alberi, fatta a pezzi… Purtoppo la litania delle atrocità non ha fine in Sud Sudan». Dove l’opposizione si è militarmente indebolita e le forze governative non esitano a forzare i termini degli accordi pur di riguadagnare il controllo su città e regioni in cui lo aveva perso, non esitando a vendicarsi sui civili. Uno degli episodi riferiti nel rapporto era stato già denunciato di Amnesty International e risale allo scorso ottobre, quando 60 tra uomini e ragazzi sono morti asfissiati dopo essere stati chiusi con le mani legate in un container sotto il sole a picco dai soldati.

Il rapporto sottolinea poi con particolare sgomento le brutalità di cui sono spesso vittime le donne, dal momento che per i gruppi armati alleati con il governo centrale la licenza di stuprare e uccidere le loro vittime è parte integrante del salario che gli viene riconosciuto.