Pippo Civati, Renzi ha perso e si è dimesso, o quasi. Anche Liberi e uguali ha perso, non meno rovinosamente. Restate tutti al vostro posto?

Rispondo per me. All’assemblea di Possibile mi presenterò dimissionario.

Lei non è stato eletto e non era alla conferenza stampa post voto della sua lista. Per polemica?

No, facevo gli ultimi conti sul flipper del Rosatellum. Farò politica fuori dal Parlamento.

Perché è andata così male?

Le larghe intese finiscono a destra, è una regola generale. Chi era all’opposto di quell’impianto ha vinto.

Liberi e uguali alla fine è stata associata alla stagione delle larghe intese?

La partita era sistema contro antisistema e noi, che siamo per la riforma del sistema, abbiamo usato toni troppo riflessivi. Quando alcuni sono diventati autonomi dal Pd era molto tardi e la scelta è parsa tardiva. Per questo l’uscita di Piero Grasso sul governo di scopo è stata subito presa per una dichiarazione pro larghe intese, o pro Gentiloni. Il sospetto era che quelli che ci avevano messo tanto a uscire dal Pd fossero già pronti a rientrarci.

Traduco: avete scontato un pregiudizio dovuto alle biografie di Bersani e D’Alema?

Sicuramente.

Si dovevano fare indietro?

O qualcuno doveva farsi più avanti. Ho passato la campagna elettorale a rispondere a domande su D’Alema. Non ho niente contro di lui, ma diciamo che non eravamo considerati abbastanza alternativi.

Insomma avete sbagliato molte cose. Anche le liste?

L’unità di cui si parlava non era praticata. Non dettaglio, non voglio essere ingeneroso. Le liste sono state fatte male e i risultati si vedono. Io, peraltro, le ho viste già chiuse. Facevano pensare a un’operazione di vertice per tutelare il ceto politico. Io l’ho ripetuto fino allo spasimo e mi sono solo fatto nemici.

Lo dice perché non è stato eletto?

L’ho detto ancora prima di conoscere il mio collegio, che doveva essere un altro.

Ora ha intenzione di andare avanti con Liberi e uguali?

Ci stiamo riflettendo. Ma non possiamo trasformare la lista in un partito, come dice Piero Grasso, come se non ci fosse stata la sconfitta. Dobbiamo fare una Épinay, come si diceva una volta, una grande riflessione collettiva da cui ripartire. Prima, con Renzi in gioco, non si poteva fare. Ora sì.

Nicola Fratoianni però dice: «È finita una certa idea del centrosinistra».

Del vecchio centrosinistra, sì. Ma con il 3 per cento non possiamo fare quelli che continuano il loro percorso. Dobbiamo avere il coraggio di parlare con tutti. Netti, ma capaci di far saltare lo schema attuale che ci vede tutti perdenti. Dobbiamo allargare LeU ad altri mondi, non solo ai protagonisti della campagna elettorale. Ma l’ennesimo congresso fra noi a che serve? Serve invece un invito alle forze progressiste del paese, a quelle più radicali, a quelle che si rendono conto che così non si va da nessuna parte.

Ma quali sono queste forze con cui volete dialogare? Anche il Pd?

Il Pd è a un bivio. O torna a sinistra oppure sceglie il renzismo e le larghe intese anche senza Renzi. Ma noi non possiamo essere estranei a questo processo.

Renzi ha detto: no inciuci. Invece secondo lei ora dovrebbe fare un governo con i 5 stelle?

Sarebbe la più grande smentita di tutto quello che ha detto per tutta la legislatura. Ma non ho capito: quindi Renzi propone di tornare a votare?

Molti elettori di sinistra hanno votato il Movimento 5Stelle, non voi.

Appunto. E non è che sono diventati tutti grillini. Riflettiamoci. Non è una novità, già nel 2013 era così. Viverli come un corpo estraneo è sbagliato. Noi siamo arrivati tardi e sconclusionati. Per questo chi lasciava il Pd non ci ha votato.

Propone un partito o un seminario?

Propongo un’azione politica per comprendere le ragioni del macello e per provare a dare un profilo all’Italia democratica di sinistra. Sblocchiamo la sinistra.