«Pippo Civati non ha dietro nessuno e non ha contrattato niente con nessuno. Per questo può fare le cose che dice. A Reggio Emilia, in questi tre giorni di Politcamp (la festa annuale della sua area, conclusa domenica, quest’anno ha lanciato la sua candidatura al congresso Pd, ndr), ho rivisto per la prima volta da tempo un Pd possibile. Mille persone da tutta Italia, per lo più giovani e amministratori, che hanno spiegato come si fa a ripubblicizzare l’acqua con progetti economicamente e socialmente sostenibili; o come si chiude l’inceneritore – a Reggio Emilia l’hanno fatto -; e come si ragiona sul fisco partendo dall’Irpef e dalla riduzione della fiscalità dove la pagano i lavoratori. Insomma come si può ricostruire una cultura di governo partendo dal basso e dai territori». Parla Andrea Ranieri, del Pd genovese, già sindacalista, assessore di Genova e senatore ds.

Sembra ormai che anche Civati abbia uno sponsor importante, Fabrizio Barca.
Non tirate Barca per la giacca, a Reggio Emilia nessuno l’ha fatto. Lui stesso ha spiegato che si è trovato bene nella nostra discussione perché noi, come lui, crediamo che il problema della democrazia italiana e del Pd sia un deficit di partecipazione.

Il tema della democrazia non è una vostra esclusiva, è centrale anche nel documento dei bersaniani. E nelle proposte che fa Gianni Cuperlo, altro candidato. Stessa cosa la centralità del lavoro.

La differenza è fra chi dice e chi fa. Uno può dire tante belle cose, ma se continua a muoversi all’interno degli equilibri che ci sono oggi nel Pd vuol dire che queste cose non le vuole fare. O non le potrà fare. Civati invece ha deciso di rimanere fuori da questi equilibri. Tutti gli altri candidati hanno dietro qualcuno che ha fatto, nella storia del Pd, il contrario di quello che oggi predicano. Faccio l’esempio di D’Alema?

Prego.

D’Alema dice che è d’accordo con Barca sul ripartire dai territori. E allora dica che tutta la sua esperienza di presidente del consiglio, il cui fondamento era l’idea che si governa il mondo da Palazzo Chigi, è stata un fallimento: il fallimento del mix fra decisionismo governativo e cultura liberista. Quanto a Matteo Renzi, lui dice che Barca è meraviglioso. Ma Barca è contrario al presidenzialismo e all’uomo solo al comando.

Sta tirando lei Barca per la giacca?

Assolutamente no. Ma anche Barca dice di essere stufo di quelli che gli danno ragione però poi fanno altro.

Si dice che sia vicino a voi anche Sergio Cofferati.

Sergio deciderà. Ma se guardo a quello che dice, lo sento vicino.

Anche Stefano Fassina è molto vicino al mondo del lavoro.

Non voglio fare polemiche con Fassina che, come diceva Marco Antonio di Bruto, è un uomo d’onore. Dico solo che dovrebbe essere conseguente: anziché accettare l’incentivo agli straordinari, sostenga con forza la redistribuzione dell’orario di lavoro e l’incentivo ai contratti di solidarietà. Su questo la Fiom ha ragione. E anche la Cgil: il piano del lavoro, presentato davanti al gruppo dirigente Pd, è stato benedetto e poi dimenticato in due giorni.

Epifani è un ex segretario della Cgil. Non è vicino alla Cgil?

Non mi pare che dica queste cose. Resta dentro gli equilibri fra dirigenti Pd. E quelli del governo delle larghe intese.

Voi siete gli unici che criticano apertamente il governo Letta.

Chi teorizza che questo governo è uno stato di necessità dice nei fatti che il voto non serve: ma poi non si lamenti dell’astensionismo. Il Pd non può continuare a farsi ammutolire dal governo e a votare contro se stesso. E a non usare le sue parole perché se no cade Letta. Diciamo che non votiamo Santanché perché è una ’pitonessa’. Ma no, non la votiamo perché è fascista. Si può dire? Sugli F35 abbiamo votato contro noi stessi e il nostro programma. Sul voto di scambio abbiamo difficoltà persino a pronunciare in aula le parole di don Ciotti. Si può andare avanti così? Ci sono alcuni punti fondamentali: il fisco, la legge elettorale, le tasse sul lavoro. Se il governo non le fa, non piangeremo se cade.