L’ultimo personaggio di Dario Fo è un falsario. Si chiama Paolo Ciulla, è siciliano, e fabbrica biglietti da 500 lire (750 euro di allora) nell’Italia di Crispi e Giolitti. Anche lui è un giullare, un ribelle, un anarchico, e difende gli ultimi: come tante figure di cui si è innamorato il premio Nobel nella sua lunga carriera. Il maestro lo racconta nel suo ultimo libro, scritto insieme a Piero Sciotto, Ciulla, il grande malfattore (edito da Guanda): i due autori lo hanno messo in scena per la prima volta domenica sera al Piccolo di Milano, nel corso della rassegna culturale Bookcity.

Perché, Fo, un ragazzo di oggi dovrebbe leggere le vicende di Ciulla?

Perché è un’allegoria dei nostri giorni, e di un’Italia che non cambia mai. La sua vita incrocia le lotte contadine dei Fasci siciliani, represse nel sangue da Crispi, e le cronache delle grandi falsificazioni, quelle miliardarie: lo scandalo della Banca Romana, 40 milioni di lire, allora una cifra enorme, emessi fuori corso per coprire le mazzette e le speculazioni degli immobiliaristi e dei politici dopo l’Unità d’Italia. Ma mentre i banchieri romani e i deputati vengono scagionati e assolti da tutte le accuse, Ciulla viene processato e condannato per il suo piccolo laboratorio tra le sciare dell’Etna: e dire che tanti di quei biglietti che fabbricava li aveva messi sotto le porte dei poveracci di Catania, alimentando una leggenda da eroe popolare. E oggi non ritroviamo gli scandali finanziari e tantissime persone sempre più povere?

Ciulla è una specie di Robin Hood?

Va detto che prima di tutto lui divenne un falsario per ribellarsi a un sistema che non gli permetteva di fare l’artista con i mezzi leciti, voleva dimostrare la sua straordinaria abilità: perfino i periti della Banca d’Italia riconobbero che i suoi biglietti erano autentici capolavori, indistinguibili dagli originali. E poi, sì, a un certo punto cominciò a regalare i soldi ai poveri, senza farsi mai vedere. Ma poi lui danzava, cantava, scriveva, dipingeva, disegnava vignette satiriche: era un vero giullare, contestava il potere, e per questo era scomodo. Era anarchico e pure omosessuale, un diverso, un sovversivo.

C’è insomma in lui quella vena dell’italiano del popolo che non si arrende alle ruberie e alla corruzione, ma che forse non sa trovare il mezzo per esprimere questa ribellione, se non attraverso l’arte.

In questo è un personaggio assolutamente legato a uno schema, quasi nasce dalla commedia dell’arte, ma anche prima. Ciullo d’Alcamo, un suo quasi omonimo, anche lui siciliano, è il primo giullare della letteratura italiana: scrive Rosa fresca aulentissima, nel Duecento attacca il potere. Ciulla tenta la strada della politica, partecipa ai Fasci siciliani, rivendica una maggiore giustizia per chi lavora, ma il potere è più forte. Sono morte oltre 100 persone nella repressione di quel movimento. Ciulla non è un duca o un principe che fa i capricci o si traveste per stupire: lui è un vero uomo del popolo, vive nella società. E come va a finire in tutte le epoche? Che i poveracci vengono messi in ginocchio, umiliati e uccisi, mentre i grandi squali e gli speculatori la fanno franca, coperti dai politici.

C’è anche una identificazione personale tra Ciulla e Dario Fo?

A me il personaggio è piaciuto subito: quando Piero Sciotto, che ha fatto le ricerche storiche, me lo ha proposto, ho detto sì facciamolo. Io ho la grande fortuna di aver avuto successo: ma ho subìto anche tante censure, hanno tentanto di farmi saltare in aria il teatro. Per non parlare delle violenze subite da Franca (Rame, ndr). Chi mette a nudo il re finisce alla gogna.

Quella disperazione dei poveri di allora e la prepotenza e impunità del potere non fa pensare agli scontri di oggi, dove la conflittualità pare tutta concentrata nelle periferie, gli ultimi contro altri ultimi?

È la solita tecnica: trovare il nemico, l’isolato fuori dalle regole, e mettere i poveri contro i poveri. Una lotta di classe antica come il mondo, che si ripete all’infinito. A un popolo disperato e angosciato basta dargli un nemico. L’essenziale è che il nemico non venga visto nel potere stesso, nei signori che si arricchiscono grazie al disastro generale.

Nel libro compare la mafia, che si allea con i politici e i signori contro i poveri.

La mafia si allea sempre con il potere, contro chi chiede giustizia. Ma perché, un grande amico di Berlusconi e fondatore di Forza Italia non si è giovato della mafia?

Oggi chi li tutela i poveri? I sindacati?

Anche: se riescono a criticare il potere costituito, sì. Mi piace Landini: è bravo, mi pare un uomo onesto e cosciente, e credo che stia cercando di riformare il sindacato.

E il premier Matteo Renzi? Lui con il sindacato invece è in rotta.

Alcuni politici sembrano un’invenzione del potere. In altre epoche il potere si inventò il fascismo, e quest’ultimo fingeva di difendere gli operai. Credo che sia positivo che il sindacato critichi le politiche del governo.

Grillo può essere ancora un’opzione?

Se gli lasciassero spazio… Ieri sera vedevo la tv e non è stato nominato nemmeno una volta: eppure ha fondato quello che oggi è il secondo partito italiano.

Il Pd dovrebbe dargli più spazio?

Se il Pd avesse a cuore un vero interesse di classe, sì, lo farebbe. Ma il Pd non è semplicemente in combutta con la destra, il Pd è una parte della destra, è falso dire che sia di sinistra. Ignorano il movimento di Grillo perché il loro sogno è eliminarlo, ma io spero non ci riescano. Partecipo spesso a iniziative con questi ragazzi: il loro desiderio di coinvolgere realmente le persone lo trovo commovente. Poi fanno battaglie per l’ambiente, e sono gli unici a essersi autoridotti la paga.

Forse un nuovo dialogo si potrà tentare sul prossimo capo dello Stato?

Se il Pd avesse dimostrato intelligenza avrebbe appoggiato Rodotà, uomo di cultura e pulito. Ma proprio per questo è pericoloso. Per coprire il potere servono figli di puttana, ladri e delinquenti.

Ultimamente Fo pare conquistato da papa Francesco.

Lui sta conducendo una lotta impari con vescovi e cardinali, contro l’essenza della chiesa cattolica, cioè il potere. Per questo è molto odiato: se potessero lo eliminerebbero, come il papa breve, Luciani.

Il 28 novembre agli Arcimboldi c’è la prima di «Una Callas dimenticata», poi il 6 dicembre a Modena. Come mai Callas?

È l’ultimo libro scritto con Franca. La sua storia è come una tragedia greca: una donna che ha grandi doti canore, che appare baciata dagli dei, ma che viene mangiata viva dallo stesso gioco in cui si trova. Ha la disgrazia di incontrare Onassis, che la mette incinta, la mortifica, la umilia, la lascia per l’ex moglie di Kennedy. Il suo dramma diventa politico: lei non accetta di essere cancellata, lotta con tutte le forze, alla fine muore a Parigi, da sola. Con lei c’erano solo un autista e una cameriera.