L’ingorgo epocale tra patrimonio enorme di edifici in disuso, questione del consumo di suolo e crisi economica, alimentano il dibattito sulla questione del recycle e sull’urgenza di pensare a processi alternativi di crescita e trasformazione delle città. La presenza di edifici vuoti ed abbandonati nel territorio è impressionante. In molti casi, si tratta di realtà prive di futuro, che vengono lasciate invecchiare in attesa di una possibile demolizione, di un eventuale progetto di recupero o di un lento consumarsi per deterioramento.
La strategia più praticabile (e «situazionista»), in tale scenario, sembra essere quella del riciclo temporaneo: un’alternativa alle operazioni di demolizione e recupero, capace di eludere i veti e le tempistiche della burocrazia e di riaccendere spazi depressi in maniera spontanea e provvisoria.
Questa esperienza viene spesso da collettivi, associazioni culturali e «gruppi di interesse» pronti a riciclare questo tipo di patrimonio. Allo stesso modo dei guerrilla stores, che appaiono e scompaiono per seguire le esigenze dei transumers (trans-consumers), gli spazi in disuso vengono trasformati e utilizzati, per il tempo necessario, dalla comunità dei cityusers. La dimensione del mutevole e del provvisorio trova in questo terreno un’applicazione accessibile e concreta. Il carattere temporaneo, l’assenza di irrigidimenti normativi e di interventi strutturali rendono questa pratica agile e poco invasiva. Gli spazi vengono estrapolati dalle funzioni, dai significati e dai contesti per cui sono stati pensati, valutati esclusivamente in base alla situazione attuale e alle relative possibilità di utilizzo.

Luoghi mutevoli

In questo tipo di operazioni un ruolo cruciale è affidato alle associazioni che interpretano la domanda (sociale) e delieneano un’offerta basata sulle possibili attività da reinserire nell’edificio. Il riuso trova concretezza negli scenari proposti e condivisi dai city users. L’operazione di ascolto e traduzione di tali volontà e la mappatura di edifici inutilizzati sono le attività cruciali di alcuni gruppi, che condividono l’obiettivo di riaccendere il patrimonio italiano di spazi dismessi, e ricoprono oggi il ruolo di attori effettivi delle trasformazioni urbane.
A partire dal 2008 i gruppi Cantieri Isola, Precare.it e alcuni ricercatori del laboratorio multiplicity.lab del Diap del Politecnico di Milano si sono associati in Temporiuso.net, fondato da Isabella Inti, Valeria Inguaggiato, Giulia Cantaluppi e Andrea Graglia, portando avanti un progetto di ricerca e sperimentazione dei processi di riattivazione temporanei di spazi in abbandono. All’interno del proprio website (http://www.temporiuso.org), l’associazione mette a disposizione degli utenti un vero e proprio manuale per innescare, in sette «mosse», dei possibili progetti di riuso. Si inizia con la ricognizione degli edifici inutilizzati (tramite biketour organizzati o segnalazioni di cittadini) per poi procedere alla ricognizione degli eventuali usi alternativi e alla discussione in incontri pubblici e workshop.
Le informazioni raccolte vengono poi incrociate con i dati relativi alle risorse disponibili, con l’obiettivo di riattivare un nuovo ciclo di vita dell’edificio. Temporiuso.net elabora un modello di gestione delle pratiche di riuso temporaneo, ponendosi tra il proprietario del contenitore e i possibili «utilizzatori». Il ruolo dell’associazione stabilisce sia i termini contrattuali, definendo tempi e modalità del comodato d’uso provvisorio tra proprietario e usufruttuario, sia gli aspetti ideativi e progettuali. «Un aspetto etico, mutuato da esperienze e scambi internazionali» spiega Isabella Inti, una delle fondatrici, è il «patto di scambio» che Temporiuso.net chiede tra proprietà e usufruttuari: lo spazio viene concesso in comodato gratuito a condizione che chi lo riusa debba non solo provvedere alla manutenzione ordinaria e alla sostenibilità del progetto, ma anche a restituire alla comunità locale un bene comune, garantendo dei servizi, delle attività o degli eventi fruibili a costo zero».
Un’altra piattaforma web attiva in questo settore è (Im)possibile living. La start-up, fondata nel 2011 da Daniela Galvani e Andrea Sesta, mira allo sviluppo di una consapevolezza condivisa del patrimonio in disuso e lancia un’applicazione per dispositivi mobili iPhone che estende a chiunque la possibilità di raccogliere e segnalare opere in abbandono.

L’esperienza di Macao

Attraverso i blog e i canali di Youtube, Twitter e Facebook viene creata una smart community che, munita di dispositivi mobili e spirito di partecipazione, viene messa nelle condizioni di poter osservare le foto di resti e scarti di architetture d’Italia e del resto del mondo, e di poter condividere una coscienza visiva e una sensibilità critica verso questo tipo di realtà. L’attività di (Im)possible living è tesa a una strategia sociale, ovvero alla formazione di una rete di soggetti interessati che possa contribuire a trovare soluzioni amministrative ed economiche per trasformare i contenitori in abbandono.
Tramite la mappatura in wiki, generata dagli utenti degli spazi in abbandono, (Im)possible living crea un database a scala mondiale, restituendo delle mappature dinamiche e in continuo aggiornamento. In questo senso tale piattaforma web (http://www.impossibleliving.com/) offre un servizio d’informazione e conoscenza che funge da base per l’attività di Temporiuso.net, e di altri gruppi che operano in loco come dei veri e propri esecutori di queste pratiche di autorganizzazione della città e riuso temporaneo degli spazi.
Temporiuso.net
, Alterazioni urbane, (Im)possible living sono associazioni culturali che affrontano questioni legate alla crescita e alla trasformazione urbana a partire dalle persone, identificando negli utenti il ruolo di attori principali della trasformazione urbana. È emblematica, in questo senso, l’ultima vicenda della Torre Galfa, un palazzo per uffici realizzato nel 1956 su progetto dell’architetto Melchiorre Bega e abbandonato dalla metà degli anni Novanta. Nel maggio del 2012, il collettivo Macao, un gruppo di artisti e di «lavoratori dell’arte» ha occupato per una settimana gli spazi della torre trasformando l’edificio in un nuovo centro di produzione creativa. L’esigenza di trovare spazi per l’arte e di mettere in luce alcuni aspetti critici nella gestione del patrimonio immobiliare ha spinto questo gruppo ad impadronirsi in maniera illegale e provocatoria di uno spazio pubblico inutilizzato.
Successivamente alla Torre Galfa, Macao si è poi impossessato degli spazi del Palazzo Citterio e dell’Ex Borsa del Macello a Milano promuovendo l’occupazione come unica soluzione, in alcuni casi, per sbloccare nell’immediato situazioni di stasi e impasse; allo stesso tempo un’azione così radicale ha dimostrato come la capacità di riappropriarsi e prendersi cura di un bene comune possa non necessariamente essere compito esclusivo delle istituzioni, ma possa concretizzarsi attraverso «la legittimazione di modelli orizzontali, permeabili e non verticisti» (http://www.macao.mi.it).
Il manuale di Temporiuso.net, le app di (Im)possible living e le polemiche suscitate da Macao sono oggi gli strumenti fondamentali per partecipare aila vita «pubblica» della città a partire dagli spazi in disuso. Il riciclo temporaneo promosso dalle associazioni sopra descritte offre un’opportunità per riaccendere questo tipo di patrimonio sfruttando la condizione di attesa e restituendo senso agli edifici senza modificarne le strutture. Una delle garanzie di questo tipo di operazioni risiede nel modello bottom up, ovvero nella sovrapposizione di ruoli tra gli attori della trasformazione e i fruitori dello spazio rigenerato.
Queste pratiche di auto-organizzazione della città rimettono in discussione i modelli oggi utilizzati per la riqualificazione del bene comune, evidenziandone, soprattutto per contrasto, i tempi lenti e le difficoltà gestionali e procedurali.
Le azioni amministrative, infatti, i rapporti tra utente e investitore e tra pubblico e privato finiscono spesso per irrigidire o congelare alcuni di quei provvedimenti che sarebbero «salvifici» per riattivare questo patrimonio in dismissione.

Ruoli salvifici

Il riuso temporaneo, nato in contesti spontanei e informali, si dimostra, in questo senso, una strategia particolarmente agile, capace di eludere tali lungaggini e di ottenere trasformazioni degli spazi in tempi veloci e con interventi minimi. Occorre dunque riflettere su questo tipo di attività e valutare la possibilità di poter trasferire tali pratiche ai modelli strutturati di enti, soprintendenze e amministrazioni.
Attualmente, questi gruppi lavorano in una condizione di affiancamento, e allo stesso tempo di denuncia, degli organi di gestione del patrimonio costruito. Si potrebbe, in tal senso, ripensare al ruolo di questi nuovi city makers, nella prospettiva di un eventuale inserimento delle loro attività all’interno delle politiche pubbliche.