La città dei fantasmi è Raqqa, quella che nel tempo è diventata la «capitale» dell’Isis in Siria e che ne è stato il primo avamposto quando l’autoproclamato califfato è entrato nel paese durante la rivolta contro il regime di Assad.
Oggi, come Aleppo, è stata quasi interamente rasa al suolo, ma i giornalisti di RBSS (Raqqa is being slaughtered silently, Raqqa sta venendo massacrata in silenzio) ancora sperano – un giorno – di poterci tornare. La loro storia è raccontata da City of Ghosts di Matthew Heineman, in programma mercoledì prossimo alla quarta edizione del Festival dei diritti umani di Lugano, che si terrà dal 10 al 15 ottobre.

Heineman – che con il suo precedente Cartel Land ci aveva portato da entrambe le parti del muro tra Messico e Stati Uniti – si affida in particolare alla voce narrante del portavoce di RBSS – Aziz – che lo guida attraverso un racconto che si muove tra la Siria, la Turchia e la Germania, dove molti di questi giornalisti-attivisti vivono in case sicure di cui non viene svelata la posizione, proprio perché sono fuggiti dalla persecuzioni dell’Isis che ancora li cerca disperatamente per ucciderli. I loro reportage danneggiano lo stato islamico proprio sul piano a cui tiene di più: comunicazione e propaganda, e in apertura del film li vediamo infatti ricevere, negli Usa, l’International Press Freedom Award.

Nessuno dei membri del gruppo era però un giornalista – Aziz era uno studente «spensierato», Mohamed un maestro di matematica – ma con l’inizio della rivolta contro Assad è nato in loro, spiegano, il desiderio di testimoniare ciò che stava accadendo nelle strade della città.
Compreso l’arrivo, di lì a poco, di un gruppo armato di fondamentalisti che conquisterà Raqqa e ne farà la capitale siriana dello stato islamico. Aziz e compagni saranno costretti a scappare, perché iniziano le persecuzioni, le torture e gli omicidi dei membri del gruppo che denuncia ciò che sta accade sotto il regime sanguinario del «califfato».

Il loro lavoro continua però anche dall’estero, dove ricevono video e notizie dai loro colleghi rimasti in Siria, che rischiano quotidianamente la vita per mostrare al mondo il controcampo dei filmati celebrativi – bambini sorridenti e gioiosa abbondanza – pubblicati su internet dall’Isis.
I video delle esecuzioni filmati da RBSS entrano invece in cortocircuito con quelli «hollywoodiani» prodotti dai terroristi – è una «media war», una guerra comunicativa come dice Aziz, e infatti Heineman mette il suo documentario al servizio delle immagini fatte circolare da questi ragazzi, esuli in terra straniera che hanno strappato all’Isis ciò a cui più tiene: il controllo della propria immagine.