Eccolo lì, Francesco Maselli, anzi Citto sul palco della Sala Grande del Palazzo del cinema della Mostra per ricevere il suo omaggio. Alias sabato scorso ne ha pubblicato un’intervista, che merita di essere riletta. Perché le celebrazioni sono sempre un po’ così. Questa volta ci si è messa tutta la triade del Lido per assegnare il riconoscimento. La Settimana della critica, Le giornate degli autori (che vedono Citto tra i fondatori) e la stessa Mostra del cinema. Solo che Cicutto, presidente della Biennale ha monopolizzato il microfono, senza dare la parola agli altri. Solo a Citto, molto commosso, che ha voluto ricordare Visconti «mi ha insegnato la responsabilità, umana e sociale e quindi politica di quando si fa un film».
Ancorato sulla sua sedia a rotelle, col mitico caschetto di capelli decisamente sfrondato, dall’alto dei 90 anni compiuti, Citto potrebbe permettersi di tutto, invece, si limita al tratto autobiografico «sono comunista da quando avevo 14 anni, e ne sono molto orgoglioso». Anche se Ennio Flaiano di fronte alla magrezza ascetica di Maselli lo definiva il patito comunista. Testimone di un’epoca e di infiniti aneddoti, proveniente da una famiglia dalle frequentazioni colte, Citto si è distinto per l’impegno sociale che ha sempre caratterizzato il suo cinema. «Perché l’arte ha una sua responsabilità per contribuire a una presa di coscienza individuale» sottolinea. E non manca di rimarcare come si viva «in una società piena di ingiustizie e sofferenza».
Era il 1955 quando Citto presentò a Venezia il suo film d’esordio, Gli sbandati. Menzione speciale della giuria. Da allora Venezia lo ha sempre visto protagonista, come presenza scomoda, sempre graffiante, mai accomodante. Per fortuna.